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La festa è finita: la fine del consenso nazionalista

Foto: Giammarco Boscaro | Unsplash

Originale: «La fiesta ha terminado: el fin del consenso nacionalista». Jorge San Miguel. Letras Libres. 

18 maggio 2018

La «tradizione inventata» dei 131 presidenti della Generalitat catalana deve essere collocata al suo posto preciso: insieme alle finzioni di Robert Howard o Tolkien.

Ha suscitato grande scalpore un intervento del deputato Guillermo Diaz nel Congresso, alludendo umoristicamente alla «tradizione inventata» dei 131 presidenti della Generalitat catalana e mettendola al suo posto preciso: insieme alle finzioni di Robert Howard e Tolkien. Qui non perdiamo tempo specificando quello che è ovvio: che la Generalitat medievale era un Consiglio generale, un’istituzione stratificata che non ha niente a che vedere con la attuale amministrazione autonomica, né con quella del periodo repubblicano, e dedicata alla raccolta di tasse per la corona di Aragona; che i presunti «presidenti» prima del 1931, in realtà deputati ecclesiastici, non erano eletti come tali né avevano poteri esecutivi; e che la tradizione, in questo caso, si inventò per dare legittimità e peso storico a una amministrazione di nuovo conio, senza precedenti, inserita in e creata da uno Stato moderno come era la Spagna dei primi anni 20. A proposito, su proposta di un socialista, Fernando de los Ríos, e per compiacere Macià con una dose di medievalismo. Tutto questo è stato spiegato fino alla nausea, è evidente a chiunque abbia una conoscenza di base di storia politica, e può soltanto essere oggetto di polemiche dovute all’atmosfera rarefatta in cui ci muoviamo ogni volta che si parla di legittimità.

L’interesse del caso, quindi, non risiede per me in un fondo che ammette pochi dubbi, ma in ciò che rappresenta questo dettaglio. Per tre decenni, i vari patti taciti ed espliciti tra le élite nazionaliste catalane e le élite politiche nazionali hanno permesso la definizione di quadri discorsivi, quelli del catalanismo, assunti trasversalmente. La fase turbo del Procés dal 2012 ha portato solo alla sua conclusione logica alcune delle potenziali derivazioni di quel discorso dominante.

Nella stampa dell’epoca è possibile trovare gli ordinali assegnati a Tarradellas e a Pujol (114 º e 115 º) nelle loro rispettive investiture del 78 e del 80. La lista dei “presidents” della Generalitat (a) storica circola almeno dal 2003, e non sorprenderà nessuno che il suo autore sia Agustí Alcoberro, attuale vice presidente dell’ANC. Come ha sottolineato Quim Coll nell’articolo del 2015 sopra citato, Artur Mas si è permesso lodarsi di essere il 129 ° presidente in un viaggio negli Stati Uniti di fronte a un povero Obama che a malapena ha raggiunto il 44º. E, nell’attuale fase populista-delirante del “procés”, che si attacchino al medievalismo e alle tradizioni ataviche di cartapesta, due tipi come Puigdemont, con le sue ossessioni carolingie, o quella miscela di Enoch Powell e George Costanza che è Torra, è anche qualcosa meno sorprendente.

Ma gli equilibri su cui si basava il patto autonomico in Catalogna sono saltati definitivamente in aria lo scorso autunno. Quando la convivenza si ricupererà, e sfortunatamente è prevedibile che questo momento sia ancora lontano, si assesterà su un diverso equilibrio. Un equilibrio che non possiamo ancora intravedere, ma che indubbiamente includerà una visibilità inedita dei discorsi estranei al catalanismo precedente, e più in linea con il suo reale peso demografico.

Ciò che oggi non può essere nascosto è che i significati e i simboli saranno, e già lo stanno diventando, oggetto di un combattimento. Si litigherà per ogni marco, ogni idea e ogni parola, perché ora c’è nell’altra parte chi è disposto a farlo. I 131 presidenti fake della Generalitat sono un episodio, sicuramente minore, o forse non così tanto, di quella disputa.

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