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La Catalogna, le offese e lo sconforto

Originale: “Cataluña, las ofensas y el desconsuelo”. José Andrés Rojo. El País

Quando non si sa cosa sta succedendo è difficile comunicarsi, tutto diventa confuso, cresce l’ansia, aumenta la sfiducia. È successo qualche giorno fa nel Parlamento della Catalogna. Il presidente catalano Carles Puigdemont ha fatto un discorso solenne sul tira e molla tra la Catalogna e il resto della Spagna e ha concluso che il rapporto non funziona. Dopo aver riassunto quanto è accaduto negli ultimi anni, ha spiegato che assumeva «il mandato affinché la Catalogna diventi uno stato indipendente sotto forma di Repubblica” e subito dopo ha sospeso gli effetti di questa dichiarazione per diverse settimane con l’idea di richiedere l’intervento di mediatori affinché vengano per risolvere il guaio. Ma non è finita lì. Poco dopo le forze indipendentiste, con molta prosopopea, hanno sottoscritto, uno dopo l’altro, un documento in cui si costituisce la repubblica catalana.

Assumere, dichiarare, sospendere, costituire. Discorsi, firme, spiegazioni. E un immenso rumore tra gli esperti che pontificano, sospettano, avvertono, suggeriscono, rifiutano, approvano, si lamentano, sostengono. Ecco la politica – alcuni diranno – ecco l’uomo, ecco un gesto. Il gruppo di catalani che aspettavano in strada la segnale per iniziare la festa passò in pochi secondi dall’esaltazione allo stupore più assoluto. Cosa è successo davvero? E come può essere spiegato?

La democrazia è un artificio. Un insieme di istituzioni, procedure, norme, regole del gioco. Apertamente e in pubblico, chiedevano da tempo, affinché tutto ciò funzionasse senza troppe ombre, per poter chiamare le cose con il loro nome. Per sapere cosa aspettarsi. Gli indipendentisti hanno trasformato il 6 e il 7 settembre, e anche questa settimana, il Parlamento catalano in qualcos’altro. Molta confusione. Molto spettacolo. Poca chiarezza.

I indipendentisti hanno deciso, quindi, di rinunciare all’impalcatura formale che permette di esprimere tutte le opinioni e hanno finito spingendo il conflitto politico per strada, dove non c’è spazio per sfumature e le emozioni alzano trincee tra noi e loro. Non esiste più la parola che difende un individuo, e per la quale si può chiedere responsabilità, ma l’autorità della folla. E la folla si mobilita soprattutto con le offese, mai con gli argomenti.

Da alcune settimane, e con poche eccezioni, l’attività degli spagnoli (compresi i catalani, indipendentisti e non indipendentisti) è stata unica: ruminare. Su e giù, qui e là, guarda questo, guarda quello. Un orrore. Perché quando le offese vengono imposte, sembra che nessuna parola serve a niente.

Rimane lo sconforto. Così ben espresso nella scultura di Josep Llimona, lì davanti al Parlamento catalano, che La Vanguardia ha messo in prima pagina martedì scorso. Ce n’è un’altra uguale a quella nella stanza 60A del Museo del Prado. Vedi il bel corpo della donna che nasconde la sua afflizione sotto i capelli e solo in quel momento capisci cosa deve ricostruirsi. E ancora può andare peggio.

 

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