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Nell’uragano catalano – Parte I: «Diadas»

Estratti da: «En el huracán catalán. Una mirada privilegiada del procés» un libro di Sandrine Morel Ed. Planeta 2018 

Capitolo 3
La grande comunione della Diada: “Il mondo ci guarda!”

Nei primi mesi del 2012, cominciai a ricevere delle email dall’Assemblea Nazionale Catalana (ANC). Quest’associazione, costituita nel marzo di quello stesso anno, mi informava che si stava preparando la prima gran mobilizzazione per l’indipendenza. Prometteva, infatti, che durante la seguente Diada (NdT: il giorno 11 di Settembre, quando si festeggia la giornata della Catalogna) sarebbe successo qualcosa di eccezionale. Lo slogan era chiaro: “Catalogna, un nuovo Stato dell’Europa”. E così, l’11 di Settembre andai a Barcellona per coprire la mia prima Diada. [..]

Ciò che rende differente la Diada rispetto a qualsiasi altra manifestazione è il suo senso della messa in scena, la disciplina dei suoi partecipanti e l’incredibile mediatizzazione. I manifestanti indossano la maglietta gialla della ANC che precedentemente è stato detto loro di comprare; sanno a memoria la coreografia che è stata inventata da una serie di esperti in comunicazione; hanno prenotato anticipatamente un posto sugli autobus noleggiati in tutti gli angoli della geografia catalana e, inoltre, si sono sistemati in un tratto specifico della manifestazione. Prima di riunirsi con amici e parenti, hanno coperto il passeggino del bambino, la sedia a rotelle della bisnonna o il dorso del cane con una estelada (NdT: la bandiera indipendentista catalana). E, quando li intervisto, mi rispondono con orgoglio: “Il mondo ci guarda”. [..]

Cammino dietro la moltitudine, che si sente estasiata al vedere il suo proprio riflesso, cerca la camera e si saluta. I manifestanti si guardano mentre sfilano. Stanno lì, per strada, in mezzo a una vera marea umana, gridando slogan a favore dell’indipendenza. E, nello stesso tempo, sono già in onda e sono storia. Sono come i partecipanti di una specie di reality show con una scenografia perfetta, consapevoli, in tempo reale, di quanti sono e del loro pubblico.

In quel momento, la domanda principale che mi passava per la testa è chi paga tutto questo spiegamento.

(In quel momento, ancora non sapevo che il budget annuale di TV3 (NdT: la televisione pubblica regionale catalana), finanziato principalmente dalla Generalitat, era di più di trecento milioni di euro all’anno. Ma sì, sapevo che si stava andando oltre il puro interesse informativo, per entrare nel terreno della mobilizzazione attiva: TV3 era un altro attore della manifestazione, così come lo erano le persone che stavano per strada). [..]

Per i dirigenti indipendentisti, la crisi economica e il ritorno del PP (NdT: il partito conservatore spagnolo) al governo rappresentano un’opportunità unica per moltiplicare l’appoggio alla causa. I manifestanti mi spiegano che la Catalogna “paga per tutti”, che la Spagna la sfrutta, che il resto del paese le ruba ogni anno 16.000 milioni di euro. Mi parlano degli andalusi, che ricevono il sussidio agrario, il PER, “senza lavorare”. Mi dicono che nelle scuole dell’Estremadura c’è un computer per ogni alunno, nonostante quella regione viva “sulle spalle dei catalani”. I manifestanti si sentono penalizzati, vittime di una profonda ingiustizia. Comunque, il tema più ripetuto è quello del servizio di Rodalies, i treni di corto raggio che “sono sempre rotti, o arrivano tardi”.

Anche se molti ammettono, sottovoce, che tutto questo non è nient’altro che una strategia per ottenere una serie di vantaggi economici, altri non esitano a utilizzare parole magniloquenti e definire la Catalogna come una “colonia spagnola”, anche se il suo PIL per abitante, che supera i 28.000 euro annuali, è uno dei più alti del paese ed è molto lontano dai 16.000 euro pro-capite dell’Estremadura o dai 17.000 dell’Andalusia. [..]

Capitolo 6
La ANC e Ómniun Cultural: una macchinaria per mobilizzare le masse

Nella lista delle grandi manifestazioni per la Diada, non c’è traccia di quella del 2011. Ma, se questo movimento è la conseguenza del fatto che il Tribunale Costituzionale abbia annullato parzialmente l’Estatut nel 2010, perché quindi quell’anno non salirono a manifestarsi, nel tradizionale corteo, centinaia di migliaia di persone indignate? Cercando negli archivi, trovo solo brevi articoli sulla stampa catalana su quella manifestazione, nella quale parteciparono circa 10.000 manifestanti a Barcellona. Niente di speciale. La risposta è semplice: in quel momento, ancora non esisteva la ANC. [..]

Uno dei promotori della ANC, un’organizzazione dai molteplici tentacoli e estremamente efficace, è Miquel Strubell. Questo specialista in multilinguismo, figlio di madre catalana e padre britannico, lavorò per l’introduzione del modello d’immersione linguistica nella Catalogna degli anni novanta del secolo scorso. Mi spiega la complessa strategia che si applicò in quel momento per creare questo movimento trasversale, presente in tutti gli ambiti della vita associativa e professionale e che ha permesso intensificare, articolare e coordinare il movimento indipendentista.

La ANC nacque ufficialmente nel Marzo del 2012, ma fu promossa tre anni prima, ancora in forma embroniale, da un gruppo di indipendentisti a Arenys de Munt – un piccolo municipio di Barcellona – in concomitanza con il primo referendum popolare sull’indipendenza, organizzato lì da un gruppo locale. In quella località – mi racconta Strubell – si diedero appuntamento tutti gli attivisti a favore dell’indipendentismo della Catalogna, quelli di sinistra, quelli di destra, o della sinistra estrema e rivoluzionaria, per dare sostegno all’iniziativa e riprodurla in altri posti. Strubell parlò con altri indipendentisti sul risultato della consulta. Essi consideravano che il ricorso interposto dal PP presso il Tribunale Costituzionale contro il nuovo Estatut del 2006 offriva loro la possibilità di “ridefinire la politica nei termini di un’opposizione Catalogna – Spagna che superasse la tradizionale divisione sinistra – destra”. [..]

Per mettere in pratica questa strategia, la ANC contava con una risorsa fondamentale, senza la quale non avrebbe mai potuto vincere: l’appoggio di Òmnium Cultural, un’associazione creata nel 1961 per promuovere la lingua e la cultura catalana e che, con i suoi 40.000 membri attivi e le sue 38 delegazioni, è una istituzione poderosa nella Catalogna. Apolitica e trasversale, in qualche modo rappresenta la grande casa del catalanismo. Tra il 1963 e il 1967 dovette esiliarsi a Parigi, dopo essere stata proibita dal franchismo, e dal 1969 concede ogni anno il Premio di Onore delle Lettere Catalane. Fu questa associazione che, nel 2010 e con lo slogan “Siamo una nazione. Noi decidiamo”, riunì a Barcellona un milione di persone di ogni colore politico contro la decisione del Tribunale Costituzionale di annullare una parte del nuovo Estatut.

“Quando la ANC ci chiese aiuto, mettemmo a sua disposizione la nostra struttura, appoggio ideologico e logistico”, mi spiegò il suo presidente, l’imprenditore e attivista Jordi Cuixart, nella magnifica sede centrale di Òmnium, appena due giorni prima che lo mettessero in galera per sedizione, nell’Ottobre del 2017.

Così, nel Settembre del 2012, alcuni mesi dopo la nascita della ANC, ci fu la prima Diada. Un successo che fu un punto d’inflessione nel movimento indipendentista, sia dal punto di vista economico che politico. Grazie alle quote dei suoi 40.000 soci e alla vendita di prodotti di merchandising, la ANC gestisce attualmente più di tre milioni di euro all’anno, che usa per promuovere l’indipendenza. “Quando riuscimmo a mobilizzare un milione di persone a favore dell’indipendenza durante la Diada, convincemmo il Govern a unirsi a noi”, mi disse Miquel Strubell. Mi riassume il ruolo fondamentale che hanno avuto le immagini della massa compatta utilizzando una frase di una sincerità poco frequente: “Nessuno vuol essere parte di una minoranza. È qualcosa che ti fa sentire miserabile e insignificante”.

Anche se giura di non dipendere dal governo catalano, in pratica la ANC agisce come un’organizzazione pro-governativa, come spiega Guillem Martínez. Giustifica tutte le decisioni che adotta il Govern, aiuta Artur Mas -presentandolo come il protagonista di una missione storica- a schivare il logoramento delle sue politiche di austerità e degli scandali di corruzione del suo partito. O fa pressione su ERC (NdT: partito repubblicano e catalanista) per obbligarla a presentarsi alle elezioni del 2015 in una lista comune con CDC (NdT: partito catalanista tradizionalmente vicino alla borghesia catalana), chiamata Junts pel Sí (JxSí).

Anche se i suoi presidente non sono stati eletti dai catalani, sono parte del selezionato gruppo politico che si riunisce intorno a Carles Puigdemont per decidere che strategia applicare prima e dopo il referendum del primo Ottobre del 2017 e per dirigere la politica catalana, da una posizione di uguaglianza rispetto ai leader dei tre partiti indipendentisti, alle persone di confidenza del president e agli altri ideologi dell’indipendenza. “I partiti fanno politica e la ANC e Òmnium Cultural si occupano di mobilizzare le masse. Possono portare per strada un milione di persone. Nessun partito ha tanta forza”, ammetteva un dirigente di ERC, che riconosceva così una “coordinazione politica” con queste organizzazioni. [..]

 

Capitole 7
Diada: dalla rivoluzione dei sorrisi, all’odio sin complessi

[..] Qualche tempo dopo, in uno dei cortili dell’Università di Barcellona, rimasi di nuovo di sasso per le dichiarazioni sull’indipendenza di un gruppo di ragazze di circa vent’anni. Era novembre. Tutte le ragazze erano favorevoli all’indipendenza, meno una, che mi spiegò, vergognandosi, che non era “di qui” e per questo non l’appoggiava. La giovane era nata a Barcellona. Ci era cresciuta e l’amava. Il catalano era la sua lingua, una di quelle che parlava. Tutte le sue amiche vivevano nella città. Ciononostante, spontaneamente, mi rispose “non sono di qui” perché la sua famiglia veniva “da fuori”, da un’altra regione spagnola. Quello che mi sorprese è che le sue amiche ascoltavano, annuivano, ma nessuna le disse che Barcellona era la sua casa, anche se i suoi genitori procedevano da un’altra regione. Al contrario, una di loro, nonostante fosse simpatizzante di ERC, pronunciò delle parole che sfioravano la xenofobia; assicurò che la solidarietà dei catalani non poteva continuare a servire per sovvenzionare i pigri dell’Estremadura, perché “se sono poveri, è perché non si sforzano”. [..]

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