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Segreto dietro la porta

Photo by Filip Kominik on Unsplash

Originale: “Secreto tras la puerta”. Manuel Arias Maldonado. El Mundo.

16 giugno 2018

Negli anni 40 e 50, la cultura di massa ha recepito a modo suo le teorie psicoanalitiche. Come dimostra il cinema dell’epoca, si è diffusa la convinzione che il soggetto «sopprime» fatti decisivi della sua biografia. E quindi per arrivare all’happy ending era necessario affrontare il trauma: senza il principio della realtà, si diceva, non vi è guarigione. Possiamo chiederci se non stia succedendo lo stesso riguardo alla Catalogna.

Pedro Sanchez ha detto, nel discorso durante la mozione di sfiducia, che il problema sta nell’applicazione di uno Statuto di autonomia «non votato dai catalani». Un concetto poi ripreso in diversi modi: l’ex presidente Zapatero ha insinuato che lo Statuto di autonomia fosse costituzionale; un manifesto ha invocato un consolidamento federale volto a porre rimedio a quella frustrazione collettiva; la ministra Batet ha parlato di una riforma costituzionale «urgente e auspicabile». Lasciando da parte la mancanza di dettagli su questo federalismo, o con-federalismo, la tesi che mira allo Statuto di autonomia presenta due difficoltà insormontabili: una, vera; l’altra,  falsa.

Il paradosso è solo apparente. È vero che lo Statuto di autonomia ha un grande protagonismo in questa storia; ma il problema non sta nella sentenza della Corte Costituzionale. Il testo soffriva di palesi vizi di incostituzionalità ed era dovere dei magistrati rivederli: come potevano non farlo? Più problematico risulta il fatto che la classe politica catalana abbia approvato una tale norma e abbia interpretato poi la sentenza in chiave emotiva come un attacco «alla dignità della Catalogna». Ma, di nuovo: come potevano non farlo? In questa mancanza di Bundestreue, o lealtà federale, sta tutto il problema territoriale; oggi come ieri.

Succede che puntare i riflettori sullo Statuto di autonomia equivale anche a un esercizio di repressione destinato a nascondere il fatto qui decisivo: il procés. Cioè, l’esistenza di un colpo di Stato, o «pronunciamento civile» se si preferisce la definizione di Santos Juliá, contro la democrazia spagnola. È comprensibile; ci troviamo davanti a un trauma di difficile assimilazione. Ma se si dimentica molto velocemente ciò che sarebbe potuto succedere in quelle pericolose giornate di ottobre, per lo meno non dimentichiamo quello che sì è successo: la società catalana si è divisa in due e da allora è immorale identificare «la Catalogna» con il nazionalismo.

Non è ancora chiaro quali lezioni debbano estrarsi dal procés. Ma non guadagniamo nulla, anche se così sembra, comportandoci come se non fosse mai esistito.

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