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Separatismo e ignoranza tedesca

Foto: Sebastian Lengauer | Unsplash

Originale: “Separatismo e ignorancia alemana”. Juergen B. Donges. El Mundo.

14 Apr. 2018

Quando, a metà mattina di domenica 25 marzo, ho saputo che Carles Puigdemont era stato arrestato dalla polizia tedesca sono rimasto stupito. Ho pensato che il destituito presidente della Generalitat non aveva calcolato il rischio che avrebbe corso ad organizzare la sua seconda fuga dalla Giustizia spagnola, questa volta dalla Finlandia, dopo essere stato informato del mandato europeo di arresto emesso dal giudice Llarena, proprio passando per la Germania. Il quadro legale rilevante del caso è infatti molto simile tra i due paesi, soprattutto per quanto riguarda l’ordine costituzionale, e in teoria anche nell’ambito legale.

La Costituzione tedesca non permette in nessun caso la sedizione di uno Stato federato (articolo 79.3). L’unità territoriale del paese è inviolabile. Per questo la nostra Corte Costituzionale, a dicembre 2016, ha ritenuto inammissibile un ricorso per la tutela dei diritti fondamentali presentato dal Partito di Baviera (nazionalista, senza alcuna rappresentanza in parlamento) per poter indire un referendum territoriale sulla separazione di questo Land dalla Repubblica Federale di Germania. Lo stesso succederebbe nel caso in cui, nello stato di Sassonia-Anhalt (nell’est del paese) il partito di ultradestra ed euroscettico AfD, che attualmente è la seconda forza nel parlamento regionale (dopo il CDU), arrivasse al potere nelle prossime elezioni, cosa possibile, e formulasse obiettivi secessionisti. E, recentemente, il Servizio Informazioni Federale ha messo sotto osservazione il movimento dei cosiddetti cittadini del Reich, di ideologia nazista, che non riconoscono lo Stato tedesco attuale e sono attivisti fanatici e intrinsecamente violenti.

Tutto ciò è perfettamente in linea con le decisioni prese in Spagna dalla Corte Costituzionale sull’illegalità delle due leggi di separazione (del settembre del 2017) e la convocazione di un referendum per il 1 di ottobre. Così come non era compatibile con lo Stato di diritto la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza della Catalogna, dichiarata da Puigdemont davanti all’assemblea plenaria del Parlamento catalano il 10 ottobre 2017 e firmata dai deputati sostenitori della sovranità popolare di Junts pel Sí e della CUP. Si trattava in piena regola di un colpo di stato contro il sistema legale democratico stipulato dalla Costituzione spagnola e dall’Estatut. Qualcosa come il procés secessionista sarebbe in Germania assolutamente intollerabile e obbligherebbe il Governo Federale a intervenire ai sensi dell’articolo 37 della Costituzione. A questo articolo si sono ispirati a suo tempo gli autori dell’articolo 155 spagnolo.

Maggiore congruenza tra i due paesi in questa materia, impossibile. Ma il Tribunale distrettuale di Schleswig-Holstein (OLG, nella sigla tedesca), che deve procedere sul mandato europeo del giudice Llarena, non vi ha fatto caso.

Anche in campo penale l’analogia sembra molto forte rispetto al reato di ribellione, che la Giustizia spagnola imputa a Puigdemont (e ad altri leader indipendentisti, in fuga o in carcere). In Germania parliamo di alto tradimento contro lo Stato (articolo 81 del codice penale tedesco), che è punito con gravi pene detentive. Come lo sono altresì azioni che minacciano l’unità nazionale del paese (articolo 92). Detto questo, deve esistere un alto grado di violenza che debiliti notevolmente lo Stato. Questo è un termine ambiguo, perché l’autorità giudiziaria incaricata del caso può definirlo in base ai criteri che ritiene opportuni. E la conclusione potrebbe anche essere assurda, perché se non vi è cedimento dello Stato, come in questo caso, ogni ipotesi di violenza diventa irrilevante. È ciò che è successo: la Procura di Schleswig Holstein ha ammesso l’equivalenza del reato spagnolo di ribellione con quello tedesco di alto tradimento, mentre l’OLG l’ha scartata, e con una tempestività innecessaria.

Io sì che ho constatato atti di violenza durante il procés, e continuano tutt’ora. È di dominio pubblico che il concetto di violenza oggi è diverso da quello di un tempo, e che include una miriade di forme subdole che sono all’ordine del giorno in Catalogna (atti di persecuzione, minacce, persecuzioni morali e diffamazione contro persone che pensano in modo diverso, e non solo attraverso le reti sociali). Se avessero arrestato Puigdemont in un altro Land tedesco, più a sud, l’OLG di turno probabilmente avrebbe deciso diversamente. In Germania, le procedure di estradizioni sono di competenza regionale, anche se la richiesta di estradizione di un presunto delinquente proviene da un tribunale superiore del paese richiedente, come in questo caso.

Anche con l’altro reato incluso nel mandato europeo, quello di malversazione di fondi pubblici, potrebbero scaturire differenze di opinioni tra la procura e i giudici, soprattutto considerando che la legislazione tedesca è ambigua al rispetto. Neppure il maggiore scandalo di finanziamento illecito di un partito politico in Germania, quello del CDU per mano dell’allora cancelliere Kohl, ha avuto conseguenze penali. Da notare la differenza con la Spagna rispetto al trattamento giuridico dei numerosi casi di corruzione. Da ciò che ho visto, non oso prevedere se la richiesta di estradizione di Puidgdemont per questo reato andrà a buon fine. Conosco la mentalità e il temperamento della gente di Schleswig-Holstein (ho vissuto e lavorato lì, nella capitale Kiel, per 20 anni): l’uomo della strada tende a guardare verso il Mar Baltico (est) e verso il Mare del Nord (ovest) e ciò che succede nel resto del mondo quasi non lo riguarda. Non escludo che i giudici condividano questa particolare idiosincrasia.

La decisione dell’OLG sarà stata accolta come una doccia fredda nei circoli costituzionalisti spagnoli. Ma in Germania ha ricevuto un giudizio benevolo. Il fatto che il ministro della giustizia, Katarina Barley, in una dichiarazione pubblica si sia mostrata soddisfatta per la messa in libertà (condizionale) di Puigdemont e abbia espresso la possibilità che lo stesso alla fine non sia estradato e potrebbe godere dei vantaggi di vivere in un paese libero come la Germania, è inaccettabile; comporta un’intromissione politica in un caso giudiziario e viola così il principio fondamentale della separazione dei poteri in uno Stato di Diritto. Inoltre, è uno sproposito insinuare che la Spagna potrebbe non essere un paese libero. Lo stesso va suggerito a quei deputati tedeschi di terza fila che con dichiarazioni simili hanno ottenuto un articolo e la foto sulla stampa e in televisione. Il portavoce del Governo Federale ha screditato il ministro, la quale credo abbia chiesto scusa al suo omologo spagnolo, ma a me come cittadino tedesco ed europeista resta l’amaro in bocca. Se i politici compromettono la base del meccanismo del mandato europeo, che è la fiducia reciproca tra le autorità giuridiche nazionali, l’Accordo di Schengen come uno dei fondamenti delle libertà europee perde la sua ragion d’essere.

In un certo modo, il comportamento del ministro e di alcuni deputati è in linea con la percezione del problema catalano di una gran parte della popolazione tedesca. I nostri mezzi di comunicazione, con rare eccezioni, hanno diffuso la narrazione completa degli indipendentisti: che la Spagna non ama i catalani, che li deruba fiscalmente, che li espone a una Giustizia centrale politicizzata e dipendente dal Governo, che non vuole dialogare con loro, e molte altre ingiustizie. Moltissimi tedeschi, compresi distinti intellettuali, credono a tutto ciò. Anche quasi tutti i corrispondenti di stampa, radio e televisione tedeschi accreditati in Spagna hanno creduto a questa narrazione e si sono bevuti tutte le menzogne e i travisamenti storici che la compongono; è noto che non leggono la stampa competente. Bisogna riconoscere che la propaganda dei sostenitori della sovranità popolare è stata e continua ad essere molto efficace. E bisogna chiedere al Governo di Spagna perché non si impegna con determinazione a livello internazionale e nella stessa Catalogna, in una politica di comunicazione rigorosamente circostanziata per far fronte a questa nefasta propaganda.

Juergen B. Donges è professore emerito di economia politica all’Università di Colonia (Germania).

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