In Italiano Voices From Spain

Perché ce ne andremo dalla Catalogna

Originale: «Por qué nos iremos de Cataluña». Marco Hulsewe. Expansión.

Le conseguenze sulla società civile catalana e sulla sua economia dureranno a lungo. La società si è spaccata completamente, e l’investitore già sente il rischio.

Per tutte queste ragioni, siamo sicuri, e come noi molti altri, che con il tempo ce ne andremo dalla Catalogna. Vogliamo vivere in libertà.

Arrivai a Barcellona nel lontano 1995, come tanti espatriati. Contrattato da una multinazionale tedesca che, dopo un periodo di formazione negli Stati Uniti, in Olanda e in Germania, mi mandava in Spagna.

Per me, figlio di madre dell’Asturia e padre olandese, era un sogno compiuto poter finalmente lavorare in Spagna, addirittura a Barcellona. Una città che era appena entrata nel top mondiale dopo le migliori Olimpiadi della storia. In quella Spagna così ammirata nel resto d’Europa, il miglior esempio della benedizione che supponeva l’integrazione europea.

Sono stato in una delle principali business school del mondo, la IESE e mi sono sposato con una violinista di Bilbao. Abbiamo creato una famiglia, con tre figlie meravigliose. Con il sudore e la perseveranza sono riuscito a costruire una compagnia mia, dedicata alla finanza d’impresa, con un volume crescente di lavoro all’estero. Che altro si può volere?

Quattro di Ottobre del 2017. Ci riuniamo con alcuni genitori della scuola. Ci sono un avvocato, un ingeniere, un banchiere e un altro, dirigente in una cantina catalana. L’argomento della conversazione: stiamo pensando di andarcene da Barcellona. Se la situazione continua così, ce ne andiamo. Io non parlo più con mio suocero. Ho litigato con il vicino perché ho tolto un poster di Ómnium Cultural e lui mi ha insultato perché non sono catalano. Che è successo?

Il sei di Settembre è cominciato un colpo di Stato al rallentatore nel Parlamento della Catalogna. Questa definizione non è mia, ma di un giornalista di uno dei principali giornali dell’Olanda. L’uno di Ottobre, per la prima volta, abbiamo visto un corpo della polizia, i Mossos (NdT: polizia regionale della Catalogna), non rispettare una ordine chiara del giudice, perché restaurassero lo Stato di Diritto nella regione. Uno stato basato sulla Costituzione e sullo Statuto di Autonomia.

Quelli come me, che hanno avuto l’esperienza vitale di aver lavorato in paesi come la Germania o la Croazia, con la loro storia, sappiamo che la democrazia è molto fragile. Qui la democrazia si basa sul rispetto al prossimo e sulla condivisione della narrativa e dei valori.

In questi giorni è in gioco il futuro della Spagna e addirittura la sopravvivenza dell’Unione Europea. Può sembrare esagerato, però nella Iugoslavia del 1988, dove passai con l’Interrail quell’estate magica, pochi pensavano che stava per scoppiare una guerra che avrebbe cambiato le loro vite. Anche se il tentativo di colpo di Stato non potrà realizzarsi completamente, le conseguenze sulla società civile catalana e sulla sua economia si sentiranno a lungo. La società si è spaccata ed è arrivata la percezione del rischio. È la meta di una feina ben feta (NdT: -in catalano nel testo originale- un lavoro ben fatto) dalla gente di Jordi Pujol e del suo programma “Catalogna 2000” di riprogrammazione nazionale, descritto in un articolo de El Periódico de Cataluña del 28 di Ottobre del 1990. Si trattava, in sintesi, di un piano strategico per la creazione di un’identità nazionale, basato sulla narrativa della superiorità del catalano, di torti da parte della Spagna, controllo della società civile mediante i seguaci della causa e depurazione dei discrepanti mediante la morte civile.

Io non mi sono accorto di tutto questo fino a che le mie figlie non sono andate a scuola. La prima cosa che ho scoperto è che a Barcellona, dove il 70% degli abitanti parlano castigliano, lo é proibito insegnare lo spagnolo nella scuola fino ai sei anni, e dopo solo ci sono due ore a settimana. È l’unico caso nell’Unione Europea in cui non si può essere educati nella lingua officiale del territorio. Scopro che il fallimento scolastico fra gli alunni che parlano spagnolo è il doppio rispetto a quelli che parlano il catalano, un dato che si nasconde all’opinione pubblica. Poi alla fine sono gli stessi leader del nazionalismo quelli che portano i loro figli alla scuola italiana, tedesca o francese, in un atto di coerenza.

I libri sono un capitolo a parte. Tutta la programmazione neurolinguistica é destinata a fare della Catalogna il centro del mondo, manipolando la storia. E quando si parla della Spagna, di solito si fa in modo dispregiativo o neutralizzandola, dicendo Estat (NdT: Stato, in catalano) invece della parola Spagna. Così, nel cammino, scopro che il 90% dei dirigente del settore pubblico e semi-pubblico sono catalano-parlanti con profilo nazionalista, creando una sensazione di apartheid alla catalana.

Il colmo è che, nel mondo degli imprenditori in cui mi muovo, conosco troppi casi di corruzione tra le autorità catalane, in qualsiasi settore: informatica, costruzione, cultura, eccetera. E tutti senza giudizi. Tutto in silenzio. C’è omertà. Il Pater Familias de la grande cleptocrazia ha potuto votare tranquillamente l’1 di Ottobre. Come è possibile che la CUP non abbia mai fatto una manifestazione sotto casa sua?  

Lo scorso agosto, un compatriota olandese osò chiedere, durante la conferenza stampa dopo il terribile attentato di Barcellona che commosse tutta l’Europa, che il capo de los Mossos (NdT: polizia regionale della Catalogna) parlasse direttamente in spagnolo, perché tutta la stampa internazionale potesse capire quello che stava spiegando. Il poliziotto non acconsentì e il giornalista se ne andò. Fu quando Trapero (NdT: il capo de los Mossos) disse la sua famosa frase “Beh, molto bene, allora arrivederci”. Nei giorni successivi la stampa catalana lo esaltò come fosse un eroe, e il giornalista fu trattato come un cane dal popolo. Il fatto che il giornalista fosse appositamente venuto da un altro paese per informarsi sul terribile attentato non aveva importanza.

Nel 2012, quando cominciò il famoso Processo dell’Indipendenza (no, non mi riferisco al Processo di Kafka), un gruppo di imprenditori catalani mi chiese di dare una conferenza sul tema. Siccome non ne sapevo niente, mi misi a leggere decine di studi e articoli sull’impatto dell’indipendenza, gli effetti sulle frontiere, l’uscita dall’Unione Europea, eccetera. Diedi la conferenza che, riassumendo, diceva che, da un punto di vista economico, l’indipendenza era un autentico disastro. È come un Ferrari, un hobby molto caro: se ti avanzano i soldi puoi permettertelo; sennò, è la rovina. La mia conferenza non ebbe nessun effetto su la maggiorparte di loro. Cinque anni dopo, molti di questi imprenditori sono molto soddisfatti dopo aver votato l’1 di Ottobre, in attesa per la Gran Marcia al Paradiso.   

La cleptocrazia catalana è felicissima. Dopo trent’anni di saccheggio, il popolo, appoggiato dai sindacati verticali, e gli imprenditori a favore, sono ansiosi di buttarsi dal balcone. Nessuno parla di corruzione, né del fatto che nell’informe PISA la Catalogna sta dietro al Portogallo. Non si dice che nell’indice di competitività delle regioni europee la Catalogna sta agli ultimi posti, insieme alle regioni dell’Italia meridionale. Tutto questo non importa. Che c’è di più importante della Nazione?

Per tutte queste ragioni, abbiamo la certezza, e molti come noi, che ce ne andremo dalla Catalogna, con il tempo. Vogliamo vivere in libertà e ci siamo stufati della supremazia nazionalista, siamo stufi che ci trattino come invitati. Il mondo è molto grande e la vita troppo corto per perdere il tempo qui.

Beh, molto bene, allora arrivederci”.

Marco Hulsewe, imprenditore ed expresidente del Circolo degli Imprenditori Olandesi.

 

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