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29 aprile 2018
Lo scrittore crede che l’indipendentismo iniziò con l’assalto al Parlament (NdT: il Parlamento regionale catalano) nel 2011 e che i poteri economici scommisero su Puigdemont per negoziare con il Governo.
Un torrente. Anche se quando ascolta la domanda si prende qualche secondo, un silenzio che rompe lentamente, per liberare le sue riflessioni. Javier Cercas (Ibahernando, Caceres, 1962) ha scritto uno dei libri più suggestivi per capire la transizione, Anatomia di un instante. L’ex presidente catalano Jordi Pujol, quando riuniva i giornalisti per raccontare i suoi lunghi monologhi nel Palau de la Generalitat, finiva sempre per raccomandare loro quel libro. “La transizione? Leggano Cercas”. Adesso lo scrittore, autore di testi come L’impostore o Il Monarca delle ombre, soffre per la situazione politica della Catalogna. Ha chiari i propri principi e la sua diagnosi: “Il procés (NdT: il processo iniziato dai separatisti che dovrebbe portare all’indipendenza della Catalogna) non si capisce senza la destra catalana e senza l’élite economica di questo paese”. Crede che Artur Mas (NdT: ex presidente del Governo regionale catalano) cercò di coprirsi, dopo l’assalto al Parlament, nel giugno del 2011. E che contò con il potere economico per cercare una trattativa con il Governo che non arrivò mai. Cercas riceve a Crónica Global nel suo studio di Barcellona, pieno di appunti, libri e libretti, il suo spazio per la creazione.
Come scrittore, da un punto di vista sociologico e dopo aver analizzato bene la transizione e la guerra civile con libri come Anatomia di un instante, Soldati di Salamina o Il monarca delle ombre, cosa crede che stia sperimentando la società catalana con il processo indipendentista? Esiste una volontà di rifare comportamenti della transizione o del franchismo, visto che nelle manifestazioni e concentrazioni c’è molta gente anziana?
C’è molta gente anziana, si. Questo lo sanno anche gli indipendentisti. Credo che ci sono molte ragione che lo spiegano. Una è che queste persone hanno tempo libero, e sentono che non fecero abbastanza, non durante la transizione, ma durante il franchismo. Gli antifranchisti erano pochissimi, lo diceva Vázquez Montalbán quando affermava che sarebbero entrati in un autobus. Poi c’è un’altra questione, ossia che sottovalutiamo l’importanza della noia nella storia. Nell’Aprile del 1968, un giornalista francese disse che la Francia s’annoiava, e nel maggio del 68 scoppiò la rivoluzione. Lo spiegava anche George Steiner, con l’idea del “Gran ennui” come germe della Grande Guerra, nel secolo XX. Ci sono anziani, con 65 anni, con circa 20 anni ancora da vivere, che hanno trovato un’utopia, scommettono in una rivoluzione che non costa loro niente, perché hanno già la vita risolta. Nella ANC e in Òmnium (NdT: organizzazioni civili catalane a favore delle tesi indipendentiste) c’è molta gente anziana. Alcuni indipendentisti lo hanno fatto notare, chiedendo scusa prima di dirlo perché nessuno si arrabbi; ma questa è una questione importante: le persone anziane sono i protagonisti del processo.
Concretamente, ci sono molte donne anziane in queste concentrazioni con i fiocchi gialli, che denunciano l’esistenza di “prigionieri politici”. Perché? Gli indipendentisti dicono che è logico, perché durante il franchismo furono le donne quelle che soffrirono di più e che “mandarono avanti” il paese.
Ci sono donne, si, ma il fatto è che tutto questo è un’invenzione. Lo spiegai nel libro L’impostore. Abbiamo la tendenza a dolcificare il nostro passato. È un fenomeno universale. Si dice che fra i catalani non c’erano franchisti e questa è una falsificazione completa della storia.
Quello che è successo, quindi, è una falsificazione?
Si, tutto il potere prova a farlo. Per controllare il presente, si deve falsificare il passato. Ma il nostro obbligo, come cittadini, è lottare contro questa falsificazione. Dobbiamo mostrare la realtà così com’è, con tutti i suoi chiaroscuri.
Si può affermare che, prima dell’inizio del processo indipendentista, la situazione nella Catalogna era comoda, che era stata ottenuta un’enorme evoluzione e che non si pensò che potesse rovinarsi?
La verità è che quella situazione di certa comodità si mantiene ancora, nonostante tutto. È la migliore situazione della nostra storia. Quando una dirigente come Anna Gabriel (NdT: ex deputata del partito anarchista CUP nel Parlamento catalano) dice che Santi Vila (NdT: ex candidato del partito nazionalista PdeCat) sarebbe un buon candidato per “un paese di ricchi, ma no per un paese di poveri” dimostra che non ha il minimo senso della realtà. Non sa, come non lo sa la maggior parte degli indipendentisti, come funziona il mondo, in che situazione si trova il resto dei paesi. Se l’Europa è una parte privilegiata del mondo, la Catalogna, dentro l’Europa, lo è ancora di più. Siamo probabilmente parte del 3% più privilegiato del mondo. Quello che non si ammette è che la crisi economica del 2007 e 2008 ha cambiato tutto, come fece la crisi del 29. Ha provocato reazioni in molti luoghi, con Trump negli Stati Uniti, o con il Brexit nel Regno Unito. Senza la crisi, il processo indipendentista catalano non sarebbe iniziato.
Ma si considera che stiamo peggio e che c’erano le condizioni che avrebbero portato alla situazione attuale, con quel certo malessere per il processo dell’Estatut, per esempio.
Questo significa ignorare completamente la storia. Nel peggior momento della crisi, stavamo comunque nel miglior momento della nostra storia. Se si paragona la situazione del 2005 con la crisi successiva questo non si prende in considerazione, chiaro, perché, effettivamente, esiste un peggioramento rilevante. Ma così non si vuole vedere la prospettiva storica. Una delle cose che più mi preoccupano è la dittatura del presente in cui viviamo.
Vuol dire che tutto si interpreta in chiave di presente?
Si, e ha a che vedere con i media. La loro importanza è enorme. Hanno effetti molto positivi, ma anche effetti secondari. Uno di essi è la capacità che hanno di diffondere bugie, una capacità che non era mai stata così grande. Infatti, credo che attualmente il lavoro più importante dei giornalisti è smontare le bugie. Succede che quello che occorre stamattina è già passato. E il passato sta negli archivi, interessa a pochi, alla gente strana. Ma senza il passato non si capisce il presente. Cerco di riflettere questo interesse nei miei libri. Non faccio novelle storiche. Il passato mi interessa nella misura in cui continua a vivere nel presente. È un presente che comprende il passato, come in Soldati di Salamina. Cosicché, quando ascolto Xavier Trias dire che “non potremmo stare peggio” gli dico: “ma dove esce lei? Che libri ha letto per giustificare quello che dice?”.
Si può parlare del PIB, ma poi ci sono le percezioni. È questo il problema?
I dati del 1975, delle Nazione Unite, indicavano che la Spagna era un paese in ritardo, con molti problemi. Ancora lo era nel 1980, ma l’evoluzione è stata enorme, e la Catalogna ne ha ricavato notevoli vantaggi. Credo che questo non sia opinabile. Per migliorare, prima devi sapere dove sei. Si è prodotta una perdita del senso della realtà, del vincolo con la verità e la realtà. Si dice qualunque cosa e non succede mai nulla.
Quindi, considera che ci sono “verità” che si debbano stabilire per poter risolvere la situazione politica catalana?
Ci sono cose che sono la verità. Non si può dire che la Spagna non sia una democrazia, perché non è vero.
In Anatomia di un instante, lei mostra che nella transizione, nonostante tutti i problemi, si capovolse la situazione e la Spagna diventò una democrazia omologabile all’Europa.
Dobbiamo partire da un punto: noi dobbiamo essere i più critici con il nostro paese. La democrazia perfetta non esiste. La democrazia perfetta è una dittatura. Tutte sono perfettibili, questo si. E la spagnola lo è per definizione. Una delle cose dove il separatismo (che è la parola corretta che dovremmo utilizzare) ha avuto successo, davanti alla passività del Governo spagnolo, ha relazione con l’1 di Ottobre. È stato detto che il franchismo era ancora vivo, e questo è assurdo. Gli studi sulla qualità della democrazia, come quelli elaborati dall’Unità di Intelligenza del The Economist, situano la Spagna come una delle 19 democrazie “complete” del mondo. Nel posto 19, esattamente. Si dice anche, questo si, che è scesa di due posti per la gestione della crisi catalana. Ma dopo la Spagna ci sono l’Italia, la Francia, il Giappone o gli Stati Uniti. Diremo che questi paesi sono dittature mascherate da democrazie? La Spagna, rispetto alla libertà d’espressione, è uno dei paesi più tolleranti del mondo, e fra i più decentralizzati. Non è una opinione. Anche qui, bisogna riferirsi ai diversi studi realizzati sul tema, come quello delle Nazioni Unite. Dovrebbe funzionare meglio? Certo, sicuramente, ma non si può mentire e dire che non è una democrazia.
Siamo davanti a un problema dove la ragione è destinata a perdere? È una battaglia persa?
Nel breve termine si. Si tratta di una buona domanda: che succede alla ragione? Bisogna sapere che non si otterranno risultati immediati. Proust ha una frase perfetta: ciò che è entrato in una testa in modo irrazionale non può uscirne in modo razionale. C’è un punto di irrazionalità provocato negli ultimi anni con un clima di emozione superlativa. Non c`è niente di più pericoloso che le emozioni in politica. Ed è successa la cosa peggiore: abbiamo un paese diviso in due. Ciononostante, bisogna continuare a dire la verità, sapendo che esiste una componente irrazionale. Esiste un fattore gregario, il seguire a un leader, come succede con Puigdemont. Questa è la peggior cosa che possa succedere a un paese.
Crede che il processo ha dimostrato che la società catalana non era così coesa come si diceva, che non c’era una società così unita e che adesso si mostra con le sue diverse identità?
Ciò che è successo nella Catalogna ha avuto l’appoggio dei poteri più importanti. Dire che è uscito dai cuori della gente non è vero. La data dell’inizio del procés non è la sentenza dell’Estatut, questo è un falso storico. Lo dimostra il fatto che le manifestazioni posteriori non furono molto diverse dalle abituali. CiU (NdT: ex partito catalano, oggi PDeCAT) in quegli anni patta con il PP. Il cambiamento si produce con l’assalto al Parlament, nel giugno del 2011. Succede quello che volevo Jordi Pujol. ossia che la gente protestò davanti al Palazzo della Generalitat o al Parlamento, perché ciò dimostrava dove stava il potere. Ma quando lo fecero, fu con grande malessere e rabbia, come nel resto d’Europa. Il Governo catalano, ossia la destra catalana, progettò un’operazione evidente, appoggiato dai poteri economici, dall’élite economica di questo paese, che volle farne parte, con Artur Mas, il suo uomo, in prima linea. Tutto ciò lancia il procés, per non rendere conto della crisi economica. La colpa è di Madrid, il nemico è esterno, un classico in questi casi. Tutto ciò, anche per nascondere la corruzione oceanica. Ripeto: oceanica, oceanica corruzione, con l’immagine del patriarca malconcia, con Jordi Pujol.
Il procés non si capisce senza l’appoggio della destra catalana e dell’èlite economica. E ciò che succede è che non tennero in considerazione è che è facile, con sentimenti e emozioni, far scendere la gente in piazza, ma è molto difficile dirle che torni a casa. Richiudere il genio nella bottiglia adesso è molto complicato, anche se ci provano.
Che obiettivi avevano in realtà?
Il patto fiscale, o miglioramenti. Quello di sempre. La storia si ripete sempre. Ma non è successo solo nella Catalogna, è successo da tutte le parti. Dopo la crisi, sono apparsi “caudillismi”, così come dopo la crisi del 29 apparvero il fascismo e il comunismo come forme di populismo. Dobbiamo recuperare la frase di Bernard Shaw, quando dice che l’unica cosa che si impara dall’esperienza è che non si apprende nulla dall’esperienza.
Eppure, non eravamo i più moderni nella Catalogna?
Lo eravamo. E magari lo siamo ancora. Ma questo non ti evita cadere negli stessi errori. La storia deve servirci per imparare, ma non lo facciamo.