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Originale: “Una prejudicial factible pero peligrosa ”. Daniel Sarmiento. Agenda Pública
10 apr. 2018
La decisione del Tribunale di Schleswig-Holstein di respingere parzialmente l’esecuzione del mandato europeo di cattura del Tribunale Supremo spagnolo contro Carles Puigdemont ha provocato una forte reazione in Spagna, dove non si esclude la presentazione di una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).
Sembra difficile non perdere l’obiettività sulle questioni giuridiche quando si parla del “procés”. Quest’ultimo episodio non è stato un’eccezione e, a fronte della decisione del tribunale tedesco, non si sono fatte attendere reazioni tanto smisurate quanto irriflessive.
Non dico che chi firma queste righe non abbia una opinione propria sul procés. Al contrario e, di fatto, così lo ho espresso in altri articoli. Non sarebbe giusto accusare altri di mancanza di obiettività quando io stesso ho espresso pubblicamente le mie critiche verso l’indipendentismo catalano. Ciò detto, credo che la possibile remissione al tribunale di Lussemburgo di una questione pregiudiziale da parte del Tribunale Supremo spagnolo (sarebbe la prima presentata dalla Sala Penale) è un tema tecnico e sufficientemente importante da meritare un’analisi fredda ed asettica, nel merito come nell’opportunità.
Il rinvio pregiudiziale che prevedibilmente presenterà Llarena (NdT: il magistrato che ha emesso l’ordine di cattura contro Puigdemont) è un meccanismo di cooperazione giudiziale previsto nell’articolo 267 del Trattato di Funzionamento della UE. È il fiore all’occhiello del sistema dei ricorsi europei perché, grazie ad esso, i giudici di tutti i paesi membri possono formulare una domanda di diritto dell’Unione, sempre che sia utile per risolvere un dubbio nella risoluzione di una controversia interna. Inoltre, la Corte di Giustizia è estremamente generosa e flessibile con i tribunali nazionali, dato che ammette pregiudiziali da ogni tipo di giurisdizione e su ogni tipo di quesito. Si tratta di un procedimento caratterizzato dall’informalità, nel quale primeggiano la cooperazione e l’aiuto reciproco fra i giudici (uno nazionale e l’altro europeo) rispetto alle garanzie delle parti o allo stretto compimento del quadro procedurale.
La difficoltà che si presenterebbe nel caso Puigdemont starebbe nel fatto che il tribunale di emissione dovrebbe mettere in dubbio, o giudicare, la decisione di un tribunale di un altro Stato membro. La questione pregiudiziale serve affinché i tribunali nazionali possano chiarire i dubbi di interpretazione o di validità del Diritto dell’Unione, non i dubbi di legalità che suscita il diritto nazionale di un altro Stato membro e, ancora meno, le sue decisioni giudiziali, come ha già affermato in numerose occasioni la Corte di Giustizia.
Tuttavia, il caso Puigdemont è abbastanza peculiare e non dovrebbe incorrere in questo problema. Il rinvio pregiudiziale del giudice Llarena avrebbe l’effetto indiretto di riesaminare la sentenza del tribunale tedesco, ma è anche vero che verrebbe formulato soprattutto per risolvere un dubbio d’interpretazione molto concreto sull’art. 2, paragrafo 4, della Decisione Quadro (DQ) che regola l’euro-mandato. Nel caso in cui il magistrato spagnolo abbia dei dubbi legittimi e ragionevoli su una questione d’interpretazione del Diritto dell’Unione, la CGUE risponderà anche se il risultato non dovesse avere una relazione diretta o esiga il ripensamento di una risoluzione dettata da un’altra autorità giudiziale.
Sono molto abbondanti, per non dire abbondantissimi, i casi in cui uno Stato membro protesta perché considera che il rinvio serva unicamente a risolvere questioni che non hanno nulla a che vedere con il Diritto dell’Unione. Queste lamentele, di solito, non hanno alcun effetto. A tutto ciò bisogna aggiungere che il tribunale tedesco ha deliberato sulla richiesta del magistrato Llarena, almeno per ciò che riguarda il delitto di ribellione, come un organo giurisdizionale di ultimo grado. Contro la sua decisione è ammissibile solo un appello presso la Corte Costituzionale tedesca, per cui la risoluzione non può essere qualificata come suscettibile di “un ulteriore ricorso giudiziale”, nei termini dell’articolo 267 del Trattato. Dunque, nella misura in cui l’atto interpretato (l’articolo 4, paragrafo 2 della Decisione Quadro) non è chiaro, il tribunale tedesco è obbligato a sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia. E sembra che nel caso Puigdemont non ci fosse molta chiarezza, visto che la Procura tedesca era arrivata ad un risultato diametralmente opposto a quello del tribunale d’esecuzione. Sembrerebbe quindi di trovarsi davanti una sentenza contraria all’articolo 267, dato che si è pervenuti a una soluzione senza aver sollevato una questione pregiudiziale presso la Corte di Giustizia. Tutto ciò potrebbe giustificare il rinvio di una questione da parte del giudice di emissione (Llarena), evitando in questo modo i problemi di competenza che potrebbero derivarne. Se il tribunale tedesco si è pronunciato in ultimo grado e non ha sollevato una questione pregiudiziale quando era obbligato a farlo, non è irragionevole ipotizzare che sia il giudice di emissione a farlo.
Sembra quindi che i problemi di un rinvio pregiudiziale nel caso Puigdemont non siano di natura processale. Addirittura, Llarena potrebbe giustificare la necessità del rinvio proprio in luce dell’inadempienza procedurale del tribunale tedesco, che verrebbe sanata dalla Corte di Giustizia sollevando la questione pregiudiziale.
Diversa questione è che tutto ciò porti il Supremo al risultato desiderato.
La questione di fondo che solleva il caso Puigdemont non è irrilevante. Riceverà, senza dubbio, un’attenzione speciale dalla Corte di Giustizia. Sembra un po’ strano che, nel quadro di una procedura di cooperazione giudiziaria e in uno spazio senza frontiere fisiche, un mandato di cattura europeo debba passare un filtro così intenso per poter essere eseguito in uno Stato membro. Infatti, tutto ciò non è affatto abituale: gli ordini di arresto europei si eseguono rapidamente e senza eccessive confabulazioni dei tribunali di esecuzione.
Questo avviene perché i delitti che giustificano l’emissione di ordini d’arresto europeo sono quelli elencati nella lista dell’articolo 2, paragrafo 2, della Decisione Quadro. In questi casi, la cooperazione giudiziaria è praticamente automatica e c’è poco da controllare. Il problema si presenta quando il delitto non sta nella lista, come succede con il delitto di ribellione. In questo caso, l’articolo 2, paragrafo 4 della DQ stabilisce, con qualche ambiguità, le facoltà del giudice di esecuzione.
Come indica la DQ, al margine della lista dei delitti del paragrafo 2, “la consegna può essere subordinata al requisito che i fatti che giustificano l’emissione dell’ordine di arresto europeo siano costitutivi di un delitto nel Diritto dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione del delitto”.
Questo precetto, contrariamente a quanto affermato da alcuni media, non significa che il tribunale d’emissione debba fare un’analisi in astratto e senza qualificare i fatti. La norma non proibisce questa qualificazione; esige che, nel farlo, si ignorino gli elementi costitutivi o la qualificazione concreta del delitto e si valuti esclusivamente se i fatti rilevanti sono costitutivi di delitto nel paese d’esecuzione.
Con questo obiettivo, è evidente che la qualificazione dei fatti deve essere minima, e che questi devono essere accorpati in qualcuno dei delitti previsti nel Codice Penale del paese ricevente. Il tribunale d’esecuzione deve analizzare i fatti e, in seguito, qualificarli secondo le tipologie penali previste nel Diritto interno.
Ebbene, leggendo con attenzione la decisione (Beschluss) del Oberlandesgericht di Schleswig-Holstein, risulta alquanto sorprendente che la qualificazione porti il tribunale ad un risultato praticamente equivalente alla procedura penale del caso. Soprattutto quando si sta pronunciando senza aver realizzato l’istruttoria e senza aver udito le parti (la Procura tedesca non si pronuncia sulla commissione del delitto, ma sull’applicazione della normativa dell’ordine di cattura). In altre parole, la decisione giudiziaria equivale ad una specie di assoluzione dalla responsabilità penale, grazie alla quale non si potrà giudicare Puigdemont in Spagna. Un risultato che sorprende ancor di più considerando che l’esecuzione dell’ordine dell’euromandato non comporta una condanna, ma semplicemente facilita l’inizio di un processo penale. Ciononostante, la decisione del tribunale tedesco è così incisiva nelle sue conclusioni che ha condizionato in modo decisivo l’ambito della responsabilità di Puigdemont. Questo non sarebbe accaduto se si fosse arrivati alla soluzione contraria, come quella che proponeva la Procura tedesca.
Questa è dunque la questione d’interpretazione che, come si può osservare, non è né facile, né di scarsa importanza. Si chiederà alla Corte di Giustizia un chiarimento che stabilisca la portata del controllo che può esercitare il giudice di esecuzione quando verifica se i fatti rilevanti sono costitutivi di delitto nel suo paese. Questo controllo deve essere prima facie e fondamentalmente astratto, senza entrare in un’azione penale che indirettamente porti il tribunale di emissione a chiarire la responsabilità penale dell’accusato? O deve essere un controllo intenso che porti il tribunale ad assicurarsi che i fatti non solo potrebbero essere qualificati prima facie come reati, ma anche dopo un’analisi del caso porterebbero il tribunale a dichiararli costitutivi di delitto?
Tutto sembra indicare che l’Oberlandesgericht abbia optato per la seconda interpretazione dell’art. 4, paragrafo 2 della DQ. Tuttavia, questa lettura porterebbe ad un risultato problematico, giacché se una persona commettesse un delitto in uno Stato dell’Unione, un delitto non incluso nella lista del paragrafo 2, le basterebbe fuggire (in uno spazio senza frontiere fisiche) e rifugiarsi in uno Stato dell’Unione che non abbia un delitto identico (probabilmente non sono mai identici), dove sarebbe giudicato sommariamente e con maggiore possibilità di essere assolto, piuttosto che consegnato allo Stato di emissione. Questo risultato, ovviamente, non era quello che volevano gli stati membri quando hanno negoziato e approvato la DQ. E nemmeno ciò che voleva la Corte di Giustizia, come indicano due recenti sentenze, Piotrowsky e Grundza, nelle quali ha rifiutato il controllo concreto nei casi in cui il giudice di esecuzione deve valutare che si compiano i requisiti nel suo Diritto interno (anche se in casi distinti a quelli dell’articolo 2, paragrafo 4).
Se a tutto ciò aggiungiamo che una di queste sentenze è stata dettata dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia, sembra che il giudice Llarena abbia validi motivi per dubitare del risultato deciso dall’Oberlandesgericht.
Arriviamo così all’ultimo punto di quest’analisi. Anche se non esistono ostacoli procedurali all’interposizione della pregiudiziale, e anche se, inoltre, ci sono dubbi legittimi per presentare in Lussemburgo una questione d’interpretazione di evidente rilevanza e complessità, è questa l’opzione migliore?
Il processo pregiudiziale non è un mero dialogo fra giudici. Dal momento in cui un tribunale nazionale lo solleva, si attiva un complesso ingranaggio istituzionale che permette, e in qualche occasione esige, l’intervento di molteplici attori. In un caso come questo, la Commissione e i Governi degli stati membri hanno il diritto di intervenire e di pronunciarsi. Sembra evidente che il Governo spagnolo interverrà, così come la Procura e la Commissione Europea, che interviene in tutti i casi come custode dei Trattati. Non possiamo escludere che intervenga anche il Governo tedesco, vedremo in che posizione, così come gli stati che ospitano altri leader del procés. Lo scenario più probabile è che il Governo spagnolo si impegni per difendere le tesi di Llarena; ma, come abbiamo visto in questi mesi, una cosa è ciò che dicono i governi europei quando parlano fra loro, e una cosa ben diversa è ciò che fanno internamente, o ciò che possono fare nell’ambito giudiziario.
Non si può escludere che gli interventi della Commissione, della Germania o del Belgio siano così ambigui da risultare controproducenti, sottolineando la solitudine di Llarena. Nello stesso tempo, non si deve dimenticare che il rinvio pregiudiziale permette alla Corte di Giustizia di riformulare le domande che gli presenta il tribunale nazionale, e addirittura di rispondere in modo vago e parziale. I vantaggi dell’antiformalismo possono trasformarsi anche in svantaggi. Se la Corte di Giustizia non è a suo agio con la domanda, può evitarla con una risposta ambigua che non risolve nessuna questione. Questo può succedere quando la Corte si sente strumentalizzata da un tribunale nazionale, o quando una questione è talmente complessa da non permetterle di raggiungere un consenso interno. La Corte non dispone della figura del voto particolare, cosicché le sue sentenze si raggiungono per consenso. Se non ci si riesce, le soluzioni sono di solito vaghe e indeterminate.
Una questione pregiudiziale in un caso come quello di Puigdemont darà all’indipendentismo una piattaforma europea di prim’ordine. Gli interventi dei governi e delle istituzioni europee potrebbero non essere quelli che desidera il Governo spagnolo, e inoltre provocherebbero intensi dibattiti all’interno di quei paesi, amplificando così l’internazionalizzazione del procés. Se la sentenza non risolvesse il caso in forma nitida e chiaramente a favore delle tesi di Llarena, il colpo inferto alla Giustizia spagnola verrebbe non solo da un tribunale regionale tedesco, ma dalla stessa Corte di Giustizia. E non sarebbe necessaria una sentenza sfavorevole per assistere a una sconfitta giudiziaria; basterebbe che essa fosse vaga e ambigua, lasciando la questione irrisolta e nelle mani, di nuovo, del tribunale tedesco. Questo tipo di sentenze sono abbastanza frequenti in Lussemburgo, specialmente in questioni complesse e/o politicamente sensibili.
Non credo che questi rischi siano sufficienti per scartare la questione pregiudiziale. Al contrario, ci sono ragioni per le quali, prima o poi, la Corte di Giustizia dovrà pronunciarsi su una questione di diritto che sta generando una forte tensione sociale e diplomatica nell’Unione. Per risolverla, non c’è niente di meglio che una sentenza, fondata sul diritto ed emessa da un tribunale indipendente e con la autoritas della CGUE. Nonostante ciò, se il Supremo spagnolo o la Procura credono che le loro tesi verranno avallate solo perché hanno la ragione giuridica dalla loro, è molto probabile che il risultato li deluda.
Prima di prendere una decisione sull’opportunità di presentare la questione, è fondamentale che il giudice Llarena e la Procura siano certi della posizione che difenderanno gli altri stati membri e la Commissione Europea, e ciò non è facile. Solo nel caso in cui si evidenzi la solitudine di Puigdemont, e non quella del giudice Llarena, ci saranno possibilità che il risultato sia a favore dei tribunali spagnoli. Ci sono motivi per ottenere questo risultato. Ma altra cosa è che l’ingranaggio istituzionale spagnolo, poco propenso al disegno di strategie europee complesse a sfondo giudiziario, si mostri all’altezza delle circostanze e risulti capace di articolare un’azione efficace, intelligente ed equilibrata, in quello che, senza dubbio, sarebbe il processo pregiudiziale più importante dal suo ingresso nell’Unione.
Daniel Sarmiento.
Professore di diritto amministrativo e dell’Unione Europea presso l’Università Complutense di Madrid.
Prima fu avvocato del Tribunale di Giustizia dell’UE ed è autore di vari libri