Originale: “Credulidad culpable ”. Manuel Cruz. El País
01 Nov 2017
Una parte non piccola dei cittadini catalani ha accettato senza critica messaggi indipendentisti tossici. Se ora, alla luce della loro evidente infondatezza, non rivede le proprie posizioni, possiamo presumere che esista una decisa volontà di autoinganno
Come si suol dire in questi casi, “le immagini hanno fatto il giro del mondo”. Quelle di Reuters ad averlo fatto nelle ultime settimane sono state le foto delle persone radunate lo scorso 10 ottobre in Paseo de Lluís Companys, davanti al parco della Ciudadella di Barcellona, in trepidante attesa della proclamazione della Repubblica Catalana Indipendente da parte dell’allora president della Generalitat. La riuscita di quelle immagini risiedeva proprio nel fatto che erano due, scattate a pochi secondi di distanza (otto, per l’esattezza), lasso di tempo in cui si è materializzata la lungamente annunciata “delusione degli indipendentisti in buona fede”. La prima mostrava, nella prima fila della folla accalcata, una donna che, dopo aver ascoltato l’iniziale dichiarazione di indipendenza da parte di Puigdemont, alzava le braccia e urlava entusiasta, insieme all’amica che le stava accanto. Nella seconda foto della sequenza, la stessa donna sembrava chiedersi con un gesto di perplessità il motivo della sospensione dell’indipendenza appena annunciata, mentre l’amica teneva già la testa bassa, in senso di scoraggiamento, e univa le mani come se avesse iniziato a pregare con raccoglimento.
A dire il vero l’espressione citata (“indipendentisti in buona fede”) non mi ha mai convinto del tutto. In primo luogo, perché fa pensare che esista un imprecisato e opposto “indipendentisti in mala fede”, come a voler insinuare che la bontà o malvagità dell’indipendentismo gravita sulla —e dipende dalla— buona o mala fede dei suoi difensori. Conviene però non affrettarsi a considerare quasi ovvio ciò che magari è lungi dall’esserlo, perché, in effetti, chi userebbe mai —almeno con la stessa disinvoltura e profusione riservate agli indipendentisti— l’espressione “liberali in buona fede”, “socialdemocratici in buona fede” o altre simili? Perché allora in questo caso ci sembra tanto normale?
Forse perché, per quanto si impegnino a negarlo sia ERC sia alcuni intellettuali ricercati che sembrano trovare molto vintage la CUP, l’indipendentismo è una forma esasperata del nazionalismo e per quest’ultimo l’elemento chiave che tutto giustifica è il sentimento. Ecco perché, dal suo punto di vista, non solo ha senso ma sarebbe persino pertinente distinguere le qualità dello stesso, non essendoci nulla da ridire né da criticare a chi riesce a dimostrare che il sentimento che lo pervade è nobile. Non è forse a questo cui fa costantemente appello Oriol Junqueras quando si riferisce ai suoi in termini di “bona gent”, [brave persone, NdT] come se appartenere a un gruppo così perbene (e, pertanto, nutrire buoni sentimenti) garantisse senza alcun dubbio la verità e la validità della propria posizione?
Ma, è davvero così? Non bisogna pretendere nulla dal cittadino indipendentista solo perché si avvale della bontà dei suoi sentimenti? Non ha senso pretendere da lui quanto si pretende da ogni altro cittadino di altre ideologie, cioè un minimo di responsabilità e di esigenza critica nei confronti dei propri rappresentanti politici? Cerchiamo di calarci in casi specifici e di formulare domande un po’ più concrete per illustrare ciò che stiamo dicendo: cosa pensereste di quel cittadino britannico che ha votato a favore del Brexit, convinto secondo lui dai dati che gli aveva presentato Nigel Farage, nel caso in cui dichiarasse, dopo aver conosciuto che gli stessi erano falsi, che voterebbe allo stesso modo se si ripetesse il referendum? Tutto tranne che è un antieuropeista “in buona fede”, ingannato da politici disonesti. Quello che in un primo momento avreste considerato una credulità innocente, molto probabilmente comincereste a giudicarlo ora come credulità colpevole.
Applichiamo lo stesso schema al caso della Catalogna. Forse, a questo punto, dovremmo interrogarci, più che sullo scandalo rappresentato dal fatto che i mezzi di comunicazione pubblici (con il contributo impagabile di alcuni privati, cosparsi con generose sovvenzioni) si sono lanciati a intossicare senza freni, sul fatto che esista un settore non piccolo dei cittadini catalani che riceve compiaciuto e senza il minimo barlume di critica tali messaggi.
Tali cittadini non sembrano aver reagito davanti alle menzogne dei nostri Farage locali. Per citare le più recenti: quelli che ribadivano che era frutto della campagna della paura istigata da Madrid pensare che l’indipendenza della Catalogna avrebbe potuto causare la fuga verso altre aree della Spagna di aziende e grandi banche sono stati fermamente smentiti. Allo stesso modo in cui è stata inequivocabilmente smentita la loro dichiarazione secondo la quale, nel caso in cui si facesse in Catalogna «un gran casino» (espressione letterale di Artur Mas), l’Europa si sarebbe vista obbligata a intervenire. Il parallelismo con quanto sopra esposto è chiaro: se il cittadino che diceva di basare in tali tesi il proprio convincimento indipendentista non lo sottopone a revisione al constatare che le stesse si sono viste falsate, abbiamo il diritto di chiederci se, lungi dall’essere stato sorpreso nella sua buona fede, anche nel suo caso possiamo parlare di credulità colpevole o, se preferite, di una decisa volontà di autoinganno.
Nel suo intervento dello scorso 10 ottobre nel Parlamento della Catalogna cui abbiamo fatto allusione in apertura, Carles Puigdemont —sembrerebbe mettendo la benda prima della ferita— ha fatto riferimento, con enfasi, a tutto ciò che, secondo lui, non sono gli indipendentisti. “Non siamo delinquenti, non siamo pazzi, non siamo golpisti, non siamo abdotti”, sono state le sue testuali parole. E, poi, dopo averle pronunciate, ha messo in atto una delle maggiori assurdità in sede parlamentare di cui si abbia memoria (che ha comportato che il Governo centrale si vedesse obbligato a esigere un chiarimento ermeneutico), assurdità paragonabile solo all’andirivieni di cui è stato protagonista due settimane dopo, annunciando e rifiutando elezioni regionali anticipate con poche ore di distanza.
Forse è vero che gli indipendentisti in generale e l’ormai expresident della Generalitat in particolare non si meritano gli aggettivi che quest’ultimo rifiutava nel suo intervento in parlamento. Ma, in ogni caso, sia i primi sia il secondo diventeranno creditori (o no) di una determinata caratterizzazione in funzione non delle loro dichiarazioni ma delle loro azioni. Alla fine dei conti, il modo in cui ciascuno preferisce caratterizzare sé stesso ha un valore francamente relativo. O è che qualcuno dei fanatici che conoscete ammette di esserlo? Quelli che io trovo intorno a me più che altro si vantano, anche ostentatamente, della loro lucidità. Forse la chiave dell’argomento radica nel fatto che ciò che definisce il fanatismo non è il completo abbandono della ragione, come con troppa frequenza si tende a credere, ma un uso perverso y distorto della stessa.