Foto: Fernando Mateo | Unsplash
Originale: ´Nuestro Jörg Haider´. Rafa Latorre. El Mundo.
13 maggio 2018
Quim Torra invita alla caricatura. I giornali parlano di lui come di un burattino, una marionetta o un uomo di paglia. Dicono che Carles Puigdemont gli abbia vietato di occupare il suo ufficio e che abbia appeso alla sua nomina l’etichetta provvisoria in un video umiliante. Sembrerebbe che Torra condivida la vocazione di quel lecchino corporativo dei Pantomima Full: «Sì, sì, mi hanno promosso, le condizioni sono le stesse ma mi danno maggiori responsabilità».
Per il momento Torra è colui che si è prestato all’indecenza che Elsa Artadi non ha potuto accettare, ma l’esperienza storica invita alla prudenza. Ci sono troppi esempi di burattini che hanno finito per affrancarsi dal loro burattinaio. Un esempio immediato è Puigdemont, un presidente di circostanza divenuto provvidenziale. Ci sono stati casi più eclatanti, come quello di Vladimir Putin, che ha messo in galera tutti gli oligarchi che avevano visto in lui un debole uomo di paglia. La funzione concede potere di firma e la tentazione è molto forte.
Il discorso supremazista e nazionalista di Torra è omologabile a quello di Bossi o dell’estrema destra austriaca
Prendere Torra sul serio equivale a prendere sul serio i suoi testi e questo, più che grottesco, risulta inquietante. La sua prosa è intercambiabile con quella di Umberto Bossi, fondatore della Lega Nord italiana. Rientra nella peggiore tradizione politica del nazionalismo catalano, e non è poco, quella che proviene dalle Fuetadas -colpi di odio, antecedenti al tweet– che Vicenç Albert Ballester, padre della estelada, pubblicava ne La Tralla agli inizi del secolo XX con lo pseudonimo di Vic y Me, acronimo di Viva l’indipendenza della Catalogna e morte alla Spagna. La concezione della convivenza, della politica e della vita che ha Quim Torra è la stessa che permette alla sempre sensibile stampa europea di pubblicare articoli dal titolo Auge dell’estrema destra quando un Jörg Haider vince le elezioni nella regione austriaca di Carintia. Entrambi, Torra e il defunto Haider, condividono lo stesso odio verso il bilinguismo.
In Spagna, dove si è appena sciolto l’ultimo gruppo terrorista etnicistico d’Europa, la soglia della tolleranza verso le pedagogie dell’odio è lontanissima, come dimostra la rispettabilità culturale e politica di cui ha goduto il nazionalismo. L’idea che Jordi Pujol conserva degli andalusi come «esseri distrutti» è stata liquidata come eccentricità, come la gravità degli sfoghi supremazisti di Aberri Eguna di Joseba Egibar venivano ridimensionati con un «sono messaggi di consumo interno».
Quim Torra crede che gli spagnoli siano sporchi, pazzi, pigri e ladri. Ritiene, inoltre, che siano contaminanti per la razza catalana, impegnata e adempiente. Ci sono due idee essenziali nel suo discorso: nulla va sottratto al fatto nazionale e non basta vivere, neanche essere nati, in Catalogna per essere catalani. Torra crede che in Catalogna convivono due realtà nazionali e che deve essere la catalana a prevalere, per quanto, secondo la sua concezione, i catalani siano in Catalogna molto minoritari. Questi due vettori del suo pensiero politico sono perfettamente concentrati in una frase di un suo articolo pubblicato nel 2012 in un mezzo digitale: «Quando si decide di non parlare in catalano si sta decidendo di voltare le spalle alla Catalogna». La lingua è un trionfo della volontà, allo stesso modo in cui l’apertura allo straniero ne è la sconfitta. Il fascismo somiglia a questo. Oggi è il giorno buono per la stampa europea per recuperare i titoli con cui riceveva Haider.
Il discorso dell’Assemblea plenaria di insediamento di sabato scorso è stato una dichiarazione di guerra allo Stato: «Saremo leali al mandato del 1 ottobre, costruire uno Stato indipendente in Catalogna». Basta confrontare quanto detto da Quim Torra dalla tribuna con il discorso del mancato insediamento di Jordi Turull per notare la dimensione della promessa. «Non avremo nessuna scusa per non lavorare senza sosta per la repubblica», ha assicurato Torra prima di esprimere la sua vocazione al martirio.
A Jean-Claude Juncker piace scherzare con gli elementi più radicali che deve sopportare nelle istituzioni europee. Qualche giorno fa salutava alla romana l’ungherese Orban e lo riceveva con un «ecco il dittatore», poco dopo inscenava un divertente siparietto con Farage sui banchi del Parlamento Europeo. Quim Torra ha diretto una parte del suo discorso al presidente della Commissione. Ecco per Juncker un altro elemento del divertente club degli ultrà.