In Italiano Voices From Spain

Iracondo, assolutista e intollerante

Foto: Jeremy Bishop | Unsplash

Originale: ‘Iracundo, absolutista e intolerante’. Roger Senserrich. Vozpópuli.

12 maggio 2018

Il fatto che Puigdemont abbia designato con dito bonapartista una persona convinta che il 53% dei catalani che non hanno votato per il secessionismo non siano davvero catalani, fa capire chiaramente che il dialogo è pura pantomima.

Permettetemi oggi di iniziare la mia rubrica con una citazione: «Quando la patria vive in un momento di emergenza nazionale, quando si corre il rischio che la nazione si dissolva come zucchero in un bicchiere di latte, quando suonano tutti i campanelli di allarme sulla nostra sopravvivenza come popolo, il dibattito ideologico non può in nessun caso essere un asse che ci separa, perché al di sopra c’è il destino della Spagna».

Se dicessi che questo brano proviene da un discorso di José Antonio Primo de Rivera del 1934, probabilmente non sorprenderei nessuno. È un concetto di nazionalismo avariato, antico, che antepone la patria, l’identità culturale, il sentimento di appartenenza a un concetto astratto come la nazione, all’ineguaglianza, all’educazione, al benessere materiale, alla classe sociale o qualsiasi altra cosa. Il vecchio innatismo identitario di un passato al quale non vogliamo tornare.

Il punto è che questa citazione non è di José Antonio Primo de Rivera, né è stata scritta nel 1934. È tratta da un articolo pubblicato il 7 marzo 2012, dove ho cambiato solo una parola, l’ultima. Nel testo originale in catalano, Joaquim Torra, il prossimo presidente della Generalitat, scrive «Catalogna», non «Spagna».

Carles Puigdemont, bonapartista peripatetico ed ex presidente della Generalitat, ha nominato Joaquim Torra come suo erede / sostituto / fantoccio per l’incarico di massimo rappresentante dello stato in Catalogna. Torra è uno dei tanti del gran vivaio di pseudo-intellettuali indipendentisti che pullulano da decenni sulle sponde della Generalitat, parlando sempre di «Spagna» con un gesto di schifo, parlando sempre della Catalogna con un tono messianico che oscilla tra il kitsch e l’innatismo. Sono noti i suoi tweet allegramente insultanti, molti dei quali eliminati, di un nazionalismo avariato. I suoi articoli non sono da meno, con la stessa arroganza intollerante verso chi non sposa il suo patriottismo.

Capisco che qualcuno voglia essere nazionalista o indipendentista. È un’idea politica perfettamente logica e coerente, che può essere difesa con argomentazioni razionali. È possibile negoziare con loro, perfino, visto che in sostanza tutti noi vogliamo la stessa cosa, aumentare il benessere dei cittadini. Dato che la secessione comporta rischi reali e che tra una secessione traumatica e il mantenimento dello status quo c’è una via di mezzo, c’è spazio per una soluzione dialogata, se entrambe le parti sono disposte a farlo.

Sfortunatamente, né Puigdemont né Torra hanno l’intenzione di dialogare o di parlare con nessuno. Da mesi, Puigdemont e un nutrito settore del movimento indipendentista sembrano intendere come un dialogo solo «negoziare le condizioni della secessione dal vostro stato fascista», senza il minimo interesse per una via di mezzo. È fondamentalmente impossibile negoziare con qualcuno che ha ripetuto per anni lo stesso mantra: che gli spagnoli sanno solo saccheggiare. Per quanto gli indipendentisti sostengano di tendere una mano aperta al dialogo, l’uomo che hanno scelto per guidare il governo della Generalitat non sembra essere qualcuno disposto a parlare con nessuno.

Il conflitto in Catalogna ha una soluzione. Sappiamo che ce l’ha, perché sono 500 anni che ci sopportiamo a vicenda e sappiamo che è perfettamente possibile vivere insieme senza prenderci a schiaffi. Sappiamo anche che l’alternativa è molto, molto peggiore. Per arrivare a questa soluzione, però, è necessario che le due metà in cui è divisa la società catalana (perché, insito, si tratta principalmente di un conflitto tra catalani, non tra la Catalogna e la Spagna) arrivino a un accordo, superando questo gioco distruttivo di vincitori e vinti che mette in pericolo la convivenza nel Paese.

Ma il conflitto catalano non è simmetrico. Non è uno scenario in cui vi sono due schieramenti ugualmente irrazionali e radicalizzati, e che devono entrambi abbracciare la moderazione prima di poter aggiustare qualsiasi cosa. In Catalogna abbiamo un lato politico che o è soddisfatto dello stato delle autonomie, che ha funzionato abbastanza bene, oppure vuole riformarlo, e un altro gruppo di persone che hanno come obiettivo politico a breve termine quello di provocare uno scontro con lo Stato per generare una reazione eccessiva e continuare a giustificare l’uso delle istituzioni per ottenere la secessione. Il primo gruppo sarà più o meno ragionevole, competente o immobilista, ma almeno non mira a inscenare delle performances nelle istituzioni per irritare il personale senza motivo. Joaquim Torra segue questa linea, non quella di voler aggiustare qualcosa.

Joaquim Torra, a quanto risulta dai suoi articoli, dalle sue dichiarazioni e dalla sua vita pubblica, sembra essere un uomo convinto che il 53% dei catalani che non hanno votato per un partito pro-secessione a dicembre non siano davvero catalani, e sembra provare totale disprezzo per la loro identità o sentimento di appartenenza. Il semplice fatto che Puigdemont abbia nominato qualcuno del genere, un intellettuale organico di secondo piano, iracondo, assolutista, intollerante, come candidato a presiedere il governo di tutti i catalani dovrebbe chiarire che il dialogo è una pantomima, qualcosa da dire in giro per l’Europa mentre fa la vittima. L’intenzione è quella di continuare ad andare alla carica, verso lo scontro, a far casino, non a trovare una soluzione.

La Catalogna è un luogo dove un po’ più della metà della popolazione essenzialmente sta bene dove sta e non vuole avere nulla a che vedere con tante bandiere, tanti drammi, tante manifestazioni e tante storie. Finché i secessionisti non capiranno che anche questi cittadini sono catalani e che il conflitto è con loro, non con Madrid, non andremo da nessuna parte.

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