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Originale: “Políticos presos, no presos políticos”. Javier Cercas. El País.
12 Apr. 2018
I secessionisti hanno palesemente attaccato lo stato di diritto. Il cocktail nazionalista elaborato nella Catalogna è letale per l’Europa unita
Negli ultimi giorni, ci sono state proteste dell’opinione pubblica tedesca contro l’arresto in Germania dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont. A me sembra impossibile capire questo arresto senza chiedersi che è successo lo scorso autunno nella Catalogna. La risposta più corta è la seguente: il governo nazionalista della regione cercò di rompere uno Stato democratico con l’obiettivo di separarne una parte mediante un colpo di Stato (o, per essere più precisi, mediante ciò che io chiamerei “un tentativo frustrato di autogolpe civile postmoderno”). Di seguito, provo a dare una risposta più lunga.
Alla fine degli anni settanta, quando il franchismo finiva e iniziava la democrazia, la Spagna si strutturò in 17 regioni autonome – l’equivalente circa dei Lander tedeschi- e attualmente, secondo la maggioranza degli studiosi, è uno degli Stati più decentralizzati del mondo. La Catalogna è una di queste regioni e si contraddistingue perchè ha una lingua e una cultura proprie, come la Galizia o i Paesi Baschi, e perché è una delle zone più ricche del paese. Dall’inizio della democrazia, il Governo catalano –dotato di competenze esclusive in questioni vitali, come l’educazione o la Polizia, e amplissime in tutti gli altri- è stato quasi sempre in mano della destra nazionalista che, in tutti questi anni, ha realizzato un lavoro nascosto, minuzioso e sleale non solo di nation building, ma anche di state building. Ciononostante, il secessionismo non è mai riuscito ad attrarre più del 20% dei votanti. Fino a che nel 2012, tre anni dopo l’inizio della crisi economica, la destra nazionalismo al Governo si unì all’indipendentismo.
Ci sono molte ragioni che spiegano questo cambiamento, e due sono le principali. La prima è il rifiuto del Governo catalano di assumere la sua responsabilità per la cattiva gestione della crisi, attribuendola esclusivamente al Governo centrale. La seconda è la necessità di sviare l’attenzione pubblica dall’enorme corruzione in cui stavano affogando. Verso la fine del 2012, il Governo catalano disegnò un piano indipendendista che è stato svolto con tutti i loro potenti mezzi e in nome della democrazia, ma senza il minimo rispetto delle regole democratiche. Ciò comportò negli anni seguenti la violazione sistematica delle leggi e delle risoluzioni dei tribunali più importanti.
Alla fine, il 6 e il 7 di Settembre del 2017, gli indipendentisti approvarono nel Parlamento regionale, in modo completamente irregolare –in una vergognosa sessione tenutasi senza la presenza di quasi la metà della Camera e nella quale appena si permise il dibattito- due leggi che, secondo gli statuti di quella istituzione, derogavano di fatto lo Statuto catalano, violavano la Costituzione spagnola e la legalità internazionale che, come è saputo, solamente protegge il diritto all’autodeterminazione –inteso come diritto di secessione- nei territori colonizzati e nei casi di violazione dei diritti umani. Quelle due leggi, riassumendo, pretendevano cambiare completamente l’ordinamento giuridico democratico con l’obiettivo di proclamare la Repubblica Catalana e lasciare noi catalani “in balia di un potere senza alcun limite”, per utilizzare le parole con cui il Tribunale Costituzionale ha annullato la prima di quelle leggi.
Questo palese attacco contro lo Stato di diritto, realizzato sotto gli occhi di tutti e di fronte all’impotenza perplessa del Governo spagnolo, è ciò che io chiamo un tentativo di colpo di Stato. L’espressione potrà sembrare scorretta a quelli che hanno dimenticato che i migliori colpi di Stato sono quelli che si fanno senza violenza fisica, proprio perché così non sembrano colpi di Stato; ma non a quelli che ricordano che, come scrisse Hans Kelsen nella Teoria generale del diritto e dello Stato, un golpe è tale quando “l’ordine giuridico di una comunità è annullato e sostituito illegittimamente da un nuovo ordine”.
Altrimenti, che altro può significare la terrificante frase del Tribunale Costituzionale che ho appena citato, se non che il Governo catalano ha provato a tritare la democrazia? Sia quel che sia, il risultato di questo abuso è che la Catalogna ha vissuto, a Settembre ed Ottobre, quasi due mesi di incubo, nei quali la società è stata vicina allo scontro civile e al disastro economico –più di 3.000 aziende spostarono la loro sede dalla regione-. Fino a che, il 27 di Ottobre –dopo un referendum fraudolento e una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Parlamento catalano, il Governo centrale ricorse all’articolo 155 della Costituzione –copiato peraltro dalla Costituzione tedesca- per assumere il controllo della regione e convocare elezioni. Quasi nello stesso tempo, un giudice deteneva alcuni responsabili del disastro e il presidente del Governo regionale sfuggiva alla Giustizia rifugiandosi in Belgio, dove ha resistito fino alla sua cattura in Germania.
Questo è, riassumendo, ciò che è successo lo scorso autunno nella Catalogna. Non dovrebbe esserci bisogno di dire che, come hanno riconosciuto le più importanti organizzazioni umanitarie (da Amnesty International a Human Rights Watch), i politici catalani che stanno in prigione non sono detenuti politici; sono politici detenuti, accusati, ripeto, dei più gravi delitti del Codice Penale spagnolo, cominciando da quello di ribellione, riservato per chi prova a fare un colpo di Stato. Detto questo, mi chiedo che vogliono dire i tedeschi, senza dubbio in buona fede, che affermano che Puigdemont non deve essere estradato. Affermano che non avrebbe un giudizio giusto perché in Spagna non c’è la separazione dei poteri e quindi non è uno Stato di diritto? Dicono che la Spagna di oggi, dopo 40 anni di democrazia e 32 di appartenenza alla UE, nel fondo continua ad essere una copia truccata della Spagna franchista? Questo è ciò che dice la propaganda indipendentista ed è un’assurdità. Per dimostrarlo, basta ricordare uno studio sulla qualità della democrazia realizzato dall’Unità di Intelligenza del The Economist e pubblicato quest’anno. Secondo il suddetto studio, nel mondo ci sono appena 19 full democracies: tra di esse non ci sono né la francese, né la italiana, né la giapponese e nemmeno la statunitense, ma sì la spagnola, che occupa il posto 19. Qualcuno oserebbe dire che la Francia, l’Italia, il Giappone e gli Stati Uniti non sono democrazie, o che sono semplicemente dittature mascherate da democrazie?
Legge e democrazia
Ho anche altre domande da fare ai tedeschi che protestano per l’arresto di Puigdemont. Sono sicuri che non bisogna giudicare qualcuno che, secondo un magistrato della Corte Superiore spagnola, ha violato sistematicamente e coscientemente la legge? Vogliono dire che, in una democrazia, i politici, per il mero fatto di essere stati eletti in una votazione, hanno diritto a commettere ogni tipo di violazione e non sono obbligati a rispettare le regole della convivenza, come qualsiasi altro cittadino? Queste persone non ricordano un politico tedesco del secolo XX che fu eletto in elezioni libere e poi si dedicò a commettere violazioni che distrussero la democrazia? Hanno già scordato che, in una democrazia, la legge e la democrazia si identificano, perché la legge è l’espressione della volontà popolare? Che i politici possono cambiare le leggi, ma non violarle? E, a proposito, hanno letto le 70 pagine nella quali il magistrato della Corte Superiore spiega e documenta le sue imputazioni?
Non sono un giurista e non darò la mia opinione su questa ordinanza. Nemmeno diró se Puigdemont deve essere estradato o no, né per quali delitti: questo deveno dirlo i giudici tedeschi, e sono sicuro che faranno bene il loro lavoro. Credo, questo sì, che a volte diamo opinioni troppo a la leggera. Aggiungo che sono un europeista di sinistra, convinto che l’Europa unita è l’unica utopia ragionevole che abbiamo inventato gli europei. Per questo sono sicuro che il cocktail nazionalista che durante anni è stato servito in Catalogna e che è stato il principale carburante ideologico di ciò che successe lo scorso autunno –un cocktail fatto di vittimismo storico, egoismo economico e narcisismo suprematista, condito con gocce di xenofobia- non solo è incompatibile con gli ideali della sinistra, ma è anche assolutamente letale per l’Europa unita.