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Originale: “Doblegar al Estado”. Santos Juliá. El País.
16 Apr. 2018
Ciò che è successo nella Catalogna fra Settembre e Ottobre non sarebbe accaduto se i nazionalisti non avessero avuto durante decenni il potere e le risorse pubbliche per organizzare la sedizione e ribellarsi contro lo Stato al quale dovevano il loro potere e la loro lealtà.
C’era una volta in Spagna una generazione, della quale ancora restano (restiamo) alcuni sopravvissuti, che, per essere nata poco prima, durante o poco dopo la Guerra Civile, fu battezzata come quella dei bambini, e poi dei figli, della guerra. Alcuni fratelli maggiori di questa generazione, quelli nati tra il 1930 e il 1939, quando raggiunsero l’età della ragione politica, si presentarono alla scena pubblica, disposti a chiudere la guerra dei loro padri e nonni, qualificandola, in un manifesto elaborato a Barcellona, di “inutile strage fratricida”. Lo fecero reclamando non una vera nazione, formata da un solo popolo, ma uno Stato democratico, che garantisse le libertà che erano state distrutte dalla vittoria dei ribelli.
Per questo motivo, fu, dall’inizio del XIX secolo, la prima generazione di spagnoli più preoccupata per lo Stato che per la nazione, forse perché la nazione identificata come unica e vera era stata sequestrata dai vincitori. O forse perché negli anni cinquanta o sessanta la libertà era più importante, infinitamente più importante, dell’identità spagnola o del sentimento di appartenenza a una qualsiasi delle possibili Spagne.
Basta leggere i manifesti che produsse il loro passaggio nella politica e nella società di quegli anni per capire che a quella generazione, o almeno ai suoi membri più attivi, importava veramente poco la nazione spagnola, che non appariva mai nelle loro proteste o rivendicazioni.
Quando quella generazione raggiunse quello che Ortega chiamò la metà del cammino della vita, i trent’anni circa, trovò nella Catalogna lo specchio in cui riflettersi, perché lì era più sviluppato il progetto di Stato che ambiva. Nella Catalogna, infatti, dalla fine degli anni sessanta, esistevano tavole rotonde a cui si sedevano dai comunisti ai cattolici, passando per i nazionalisti di sinistra e di destra, e includendo socialisti e liberali. Queste tavole indicavano il cammino verso un incontro di tutte le forze politiche che potesse plasmarsi in un programma d’azione firmato dai partiti e dai sindacati di tutti i tipi e provenienza.
Lì era dove nacque e dove era più sviluppato il convincimento che la dittatura solo potesse essere sostituita da un patto tra i democratici, così come era nata l’Assemblea della Catalogna. Dal nostro punto di vista, la Catalogna e il patto per costruire uno Stato spagnolo democratico che garantisse le libertà individuali e collettive e l’autonomia di tutti i popoli, regioni e nazionalità della Spagna erano una sola cosa.
Questo fu il progetto che trionfò nei duri anni che, con ragione e basandoci su quella che era già una lunga tradizione, chiamiamo transizione alla democrazia. Fu un patto nei quali i catalani –comunisti, socialisti, nazionalisti, democristiani, liberali- ebbero un ruolo fondamentale. Le voci di Jordi Pujol, Jordi Solé Tura, Joan Rventós, Miquel Roca o Anton Cañellas, e addirittura di Heribert Barrera, oltre ad appoggiare questo patto, furono quelle dei più ferventi – perché c’era fervore nei loro discorsi- difensori. Per un momento, sembrò che la già vecchia ambizione di Pere Bosh Gimpera di concepire la Spagna come una comunità di popoli nella quale i catalani, i baschi, i galleghi, ma anche i castellani e gli andalusi, i manceghi e tutti gli altri, apparivano fraternamente uniti, stesse a punto di trasformarsi in realtà.
Si può rispondere che l’acqua passata non muove i mulini. Ed è vero. Ma nemmeno deve bloccarli o distruggerli. I mulini possono restare lì, indicando parte del cammino che abbiamo percorso fino ad arrivare… fino ad arrivare dove? A quei funesti giorni di Settembre e Ottobre, 40 anni dopo, quando in un Parlamento in cui avevano ottenuto una scarsa maggioranza di seggi, grazie a una minoranza di voti, i nazionalisti catalani hanno gravemente violato il patto che avevano firmato, rompendo con il loro passato, che era il passato di tutti. Seguendo la peggior tradizione politica spagnola, hanno dato un golpe a favore dell’indipendenza violando la Costituzione che avevano firmato e lo Statuto di Autonomia che aveva permesso loro governare legittimamente per 40 anni.
Chiamarono un pronunciamiento civile Dichiarazione Unilaterale d’Indipendenza. Fino ad allora, in Spagna, solo si erano ribellati i militari, un potere dello Stato sempre disposto a rompere il corso della politica fino alla mostruosità finale, un giorno di febbraio del 1981. Perché era una cosa limitata ai militari: pronunciamiento significa nel dizionario ufficiale spagnolo “ribellione militare contro il Governo”. Ma dallo scorso ottobre dovrà significare anche la liturgia civile seguita dai nazionalisti catalani che, come titolari legittimi di un potere dello Stato, si sono ribellati non contro il Governo, ma contro lo Stato di cui rappresentavano il potere.
Ciò che è successo in Catalogna non sarebbe mai accaduto se i nazionalisti non avessero avuto durante decenni il potere dello Stato e abbondanti risorse pubbliche per organizzare la sedizione e ribellarsi contro quello stesso Stato al quale dovevano il loro potere e la loro lealtà.
Sarebbe assolutamente ridicolo, se non fosse drammatico, che dei giudici di un land tedesco non vedano nel pronunciamiento catalano un delitto equivalente all’alto tradimento per il fatto che i presunti ribelli non riuscirono a piegare lo Stato. Chiaro che non lo piegarono: se ci fossero riusciti, come nel caso del generale Primo de Rivera nel 1923, sarebbero loro a giudicare o a esiliare quelli che provarono a opporsi alla loro volontà. Non ebbero successo, come accadde al generale Sanjurjo nel 1932, quando fu fatto prigioniero e sottomesso a un consiglio di guerra dalla Repubblica contro la quale si era alzato. E come sarebbero stati sottomessi a Consigli di guerra da una democrazia ancora fragile i generali Armada e Milans del Bosch. e i loro seguaci che furono protagonisti dell’ultimo tentativo di pronunciamiento militare. L’ultimo fino a che un altro potere dello Stato, il Parlamento catalano, ha aggiunto alla figura del pronunciamiento un carattere civile. È questo l’alto tradimento allo Stato, alla sua storia e a più della metà del popolo catalano che dicono di rappresentare, per cui dovranno essere giudicati da un tribunale civile i nazionalisti catalani che lo hanno commesso, anche se con la loro azione non sono riusciti a sconfiggere lo Stato.