Originale: “El fracaso del nacionalismo catalán ”. José Ignacio Torreblanca. El País
Il nazionalismo castigliano, il basco e il catalano hanno provato uno dopo l’altro ad imporre la propria identità e ad escludere i dissidenti. Il loro fallimento, risultato dei loro eccessi, permette di intravedere una Spagna aperta e plurale.
Gli spagnoli hanno subìto tre nazionalismi. Due di questi, il castigliano e il basco, sono stati già sconfitti. Il terzo, il catalano, é in procinto di esserlo , davanti agli occhi di tutti. Anche se i loro difensori ritengono che le differenze tra questi nazionalismi siano inconciliabili, la realtà è che tutti e tre hanno commesso errori ed eccessi molto simili. Tutti e tre, basandosi su una narrazione storica artificiale o deformata, mettendosi nelle mani dei loro elementi più fanatici, nell’assenza di freni efficaci della società civile, e strumentalizzando le istituzioni per ottenere i loro obiettivi, hanno costruito progetti di supremazia basati su una presunta superiorità culturale e morale. I risultati sono stati l’intolleranza verso la diversità, la persecuzione della pluralità, l’esclusione del diverso e, a diversi livelli, la coazione e la violenza contro i dissidenti.
Il primo di questi nazionalismi é conosciuto da tempo. Il nazional-cattolicesimo, trasformato nell’ideologia ufficiale del franchismo, provó ad assimilare la cultura, la lingua e l’ideologia degli spagnoli. Per farlo, utilizzó una narrazione storica-imperiale sulla grandezza della nazione; un’identità primordiale, la castigliana, che assimilò la spagnola, espellendo le altre possibili identificazioni; delle istituzioni politiche e culturali autoritarie e repressive e una lingua, il castigliano, che cercò di imporre come unica. Nel suo apogeo, soppresse le istituzioni storiche dei baschi e dei catalani, vietò e perseguitò le loro lingue e considerò inferiori quelli che avevano altre identità.
Per fortuna, il tentativo di costruire la Spagna attraverso il nazionalismo castigliano non funzionò. E anche se qualche retaggio di quel nazionalismo ogni tanto si risveglia e si fa sentire attraverso la negazione che l’estrema destra e i suoi rappresentanti mediatici oppongono alla pluralità di lingue e identificazioni che costituiscono la Spagna, la maggioranza di coloro che parlano castigliano sembra essere vaccinata contro il nazional-cattolicesimo. Questa maggioranza ha abbracciato la nazione politica, democratica e decentralizzata consacrata dalla Costituzione del ‘78 e ha sostituito o diluito l’etnicismo castigliano con un sano europeismo con il quale si sente identificata sia politicamente che culturalmente.
Il secondo nazionalismo spagnolo, il basco, si trova anch’esso in una fase di sana ritirata. La sua battaglia per recuperare i diritti, le istituzioni, l’autogoverno e la lingua soppressi durante il franchismo era più che legittima, storicamente, culturalmente e politicamente. Ciononostante, il nazionalismo basco fu usurpato da due forze che lo fecero degenerare fino a trasformarlo in un’ideologia escludente e sciovinista. Da una parte, la sua legittimità è stata messa in discussione dal “supremacismo” razzista che soggiace nei postulati di Sabino Arana, che trasmetteva il disprezzo verso gli altri popoli della Spagna e un complesso di superiorità morale e culturale che aveva poche differenze con il nazional-cattolicesimo franchista. Dall’altra, cosa molto più grave, il nazionalismo basco continua a soffrire le conseguenze morali della giustificazione del terrorismo che la sinistra “abertzale” ha costruito mischiando il nazionalismo con il marxismo leninismo rivoluzionario. Essendo stato trasformato in un presunto movimento di liberazione nazionale che utilizzava la violenza terrorista e l’assassinato politico, questa degenerazione nazionalista, oggi fortunatamente superata, ottenne il paradosso crudele di convertire quella versione estrema del nazionalismo basco in una minaccia per la democrazia, la vita e la libertà degli spagnoli. Tutto ciò ha provocato la ritirata verso posizioni che attualmente, anche se non rinunciano all’indipendenza come obiettivo politico, rifiutano la violenza come mezzo per arrivare a uno Stato basco e accettano il metodo democratico come unica fonte per legittimare l’azione politica.
Il terzo nazionalismo spagnolo, il catalano, non è estraneo a questa dinamica di crescita e caduta in disgrazia. Costruito su una narrazione storica che celebra la traiettoria di un popolo nobile e saggio, lavoratore e onorato, dotato di una presunta tradizione democratica con radici nel medioevo ma soppressa con sangue e fuoco, e amante della libertà e dell’autogoverno, il nazionalismo catalano è quasi riuscito a costruire il nazionalismo perfetto. E non solo per ragioni sentimentali, ma anche di efficienza: il successo economico catalano si è aggiunto al generoso ed esemplare lavoro d’integrazione culturale e linguistica degli immigrati, che è servita a rafforzare l’identità catalana, invece di diluirla.
Poche identità nazionali sono state così aperte e inclusive e, nello stesso tempo, hanno avuto così successo nel costruire un modello d’integrazione.
Questo successo così nitido ha scatenato una tentazione disastrosa: vittime della superbia, si sono giocati la convivenza e il successo economico per avere uno Stato proprio sul quale costruire, finalmente, una nazione politica. E su questo punto il nazionalismo catalano si è rotto. Come era già successo con gli altri due nazionalismi, alcuni sono arrivati alla conclusione che l’obiettivo superiore di portare a compimento il progetto nazionale giustificasse l’utilizzo di qualsiasi mezzo. E, protetti dalla certezza della superiorità morale della loro causa, stanno distruggendo, o sono disposti a distruggere tutto ciò che di buono e di sano aveva generato questo nazionalismo, rovinando quella che era stata una convivenza esemplare, generando una divisione tra catalani buoni e cattivi, di prima e di seconda categoria. Stanno strumentalizzando le istituzioni, convertendo la lingua di tutti in una lingua nazionale, eliminando la pluralità nei media pubblici e accettando come naturale un discorso suprematista con toni etnici e razzisti (gli spagnoli, pigri, arretrati e fascisti, rubano e ci opprimono).
Per il rumore e la furia della sfida secessionista sembrerebbe che il loro progetto sia sul punto di trionfare. Eppure, il fallimento del nazionalismo catalano è già evidente. Così come successe con i suoi predecessori castigliano e basco, esso è situato in una posizione in cui il desiderio di culminare il progetto nazionalista con uno Stato proprio porta ad anteporre l’indipendenza alla democrazia e a pensare che il fine, moralmente superiore, giustifichi mezzi illegali e antidemocratici.
Come gli altri nazionalismi, non vincerà né convincerà. E, quando si renderà conto della sua sconfitta, tornerà indietro, speriamo, su posizioni compatibili con la democrazia e la convivenza. Concludiamo con ottimismo che questo triplo fallimento, nato dagli eccessi di ogni nazionalismo, è una buona notizia, perché permette di intravedere la soluzione di un problema storico- la battaglia tra differenti progetti nazionali all’interno del paese- e di raggiungere finalmente una nazione politica pienamente compatibile con la diversità delle identità.
Forse non avevamo capito che il trionfo del progetto di costruire una Spagna plurale, nella quale possiamo stare tutti con le nostre diverse identità, lingue e tradizioni culturali ha bisogno del fallimento dei tre nazionalismi spagnoli. Una Spagna che sia il risultato del ridimensionamento dei tre nazionalismi sarà sicuramente più vivibile di quella che abbiamo conosciuto storicamente. Addirittura, può darsi che rifletta in modo più sincero e reale la vera identità della Spagna come paese plurale. Diamo quindi ai nostri amici il benvenuto nel gruppo dei nazionalismi falliti. Se l’Europa comunitaria è nata dal fallimento dei suoi nazionalismi, perché non può farlo la Spagna?