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Un «Referendum dal basso» che riflette un esteso «Processo dall´alto»

Originale: “Un ‘referéndum desde abajo’ que refleja un largo ‘procés desde arriba’ ”. Rubén Díez García. Agenda_Pública

Qualche giorno fa è stato pubblicato un interessante articolo che ha avuto una certa ripercussione su studiosi autorevoli, più estranei a questa area di studio. Gli autori richiamavano l’attenzione sul fatto che per capire il procés catalano è necessario tenere presente la pressione esercitata «dal basso». Soprattutto, tenere presente come il procés risponda non solo a una logica portata avanti dalle istituzioni politiche catalane, ma anche a un’altra che mette in mostra la grande capacità di mobilitazione che ha il movimento indipendentista e il ruolo importante che, in questo processo, hanno svolto molti collettivi e organizzazioni della società civile catalana. Organizzazioni come ANC e Òmnium Cultural, che insieme a «centinaia di assemblee di base, di quartiere, collettivi autonomi e individui anonimi» hanno incanalato il malessere dei cittadini e le richieste di riconoscimento di una parte dei catalani. Una prova ne è stata la partecipazione di questa parte molto importante e significativa dei catalani in quella mobilitazione che è stato il «referendum» simbolico tenuto il 1° di ottobre, -in cui i Comitati di difesa del Referendum e le «reti sociali digitali» hanno svolto un ruolo chiave-, oltre ad altre iniziative pubbliche che hanno avuto luogo negli ultimi anni.

Questo ragionamento mette in luce l’importanza di una teoria classica in Sociologia e Scienze Politiche secondo la quale le relazioni sociali che le persone stabiliscono nel livello intermedio della struttura sociale, attraverso gruppi sociali intermedi – collettivi e associazioni proprie della società civile, movimenti sociali, ecc. – acquisiscono un ruolo fondamentale nell’organizzazione sociale delle società occidentali e nella difesa del sistema delle libertà che costituisce la loro essenza. Un processo ha luogo nel campo della società civile, in cui operano le organizzazioni che non dipendono dalle istituzioni politiche e dallo Stato. Le ambizioni di giustizia e la libertà dell’individuo necessitano di questi «corpi intermedi» per svilupparsi, esprimersi ed essere incanalati verso gli organi politici, dove sono prese le decisioni che li riguardano, ma anche di un alto grado di pluralismo dei gruppi stessi.

Fin qui, tutto bene. Tuttavia, nel caso del procés catalano dovremmo occuparci molto seriamente del “lato nascosto e più oscuro” di questa teoria, individuato proprio nel forte cedimento delle due condizioni chiave che la stessa formula. Cedimenti che sono l’evoluzione di un processo di grande portata, che non si limita agli ultimi avvenimenti né all’attuale procés indipendentista, e che ha comportato in alcuni decenni due dinamiche che non possiamo ignorare. Da un lato, il progressivo indebolimento dell’espressione del pluralismo della società civile catalana. Dall’altro, la spinta materiale e simbolica da parte della Generalitat e di tutta la sua organizzazione istituzionale, educativa e mediatica di gruppi sociali intermedi simpatizzanti del nazionalismo e, in quest’ultima fase, del movimento indipendentista. Come hanno potuto queste tipologie di processo arrivare alla loro massima espressione nella situazione attuale, vale a dire, a una dipendenza armoniosa di tali gruppi rispetto alle stesse istituzioni politiche della Generalitat, e viceversa. È un argomento difficile da affrontare qui, ma i fatti dimostrano che è già avvenuto come, in un certo senso, indicano anche i miei cari colleghi nell’articolo citato: «il confine tra politica istituzionale e società civile tende ad attenuarsi (serva da esempio l’attuale presidentessa del Parlament, Carme Forcadell, ex leader dell’ANC)».

A questo punto, dobbiamo tenere a mente che i «corpi intermedi» sono anche una «arma a doppio taglio». Da un lato, se il loro grado di pluralismo e, pertanto, l’espressione e la visibilità della pluralità degli interessi sono indebolite nel tempo come conseguenza della spinta e del potenziamento di gruppi intermedi molto specifici da parte del potere politico a scapito di altri. Dall’altro lato, poi, se le stesse istituzioni politiche si rendono i) completamente permeabili all’intervento di quei gruppi intermedi, mentre ii) gli stessi gruppi si mettono a disposizione di tali istituzioni per il raggiungimento di determinati obiettivi politici attraverso la mobilitazione e iii) questi gruppi arrivano a sopraffare le istituzioni stesse nel promuovere questi obiettivi. Nel caso catalano sembra difficile negare che questi tre supposti si sono materializzati, e l’attuale procés, così come la concettualizzazione di un «referendum dal basso», lanciata dai miei colleghi, ne sarebbero la prova più evidente.

In queste circostanze si materializza, quindi, il lato più oscuro della teoria che qui presento, poiché le dinamiche generate sono suscettibili di causare isolamento ed emarginazione di settori importanti della popolazione che non condividono tali obiettivi, vale a dire, l’indebolimento del pluralismo democratico nella società stessa. Ma anche nei momenti di sconforto, crisi o bassa legittimità dell’ordine democratico possono dare luogo a processi di adesione incondizionata a organizzazioni, progetti, leader o simboli che suscitano interesse nella gente w che rafforzano i sentimenti di comunità e appartenenza, giacché che offrono, mediante i loro obiettivi politici, un «nuovo mondo» raggiungibile attraverso percorsi che consentono di esprimere il loro risentimento e frustrazione. Questi processi raggiungono inoltre un maggiore rilievo e gravità quando le istituzioni educative sono usate dalle autorità pubbliche come supporto alla promozione di obiettivi politici, o almeno non garantiscono un’istruzione pluralistica durante i processi di socializzazione dei più giovani. In questo tipo di situazioni staremmo parlando di un’ipotesi ben diversa, -che mi azzardo unicamente a formulare come tale perché non ho avuto, né avrò, l’opportunità di appurare empiricamente: progetti di costruzione nazionale «dall’alto», che finiscono per limitare l’eguaglianza di quei gruppi sociali che non condividono questi obiettivi.

Il culmine di tale processo, l’attuale procés, ha fatto affidamento, sì, sul protagonismo dei cittadini in sintonia con il progetto del movimento indipendentista e dei partiti che lo appoggiano, e a cui i promotori dello stesso avrebbero concesso tale ruolo protagonista, ovviamente al fine di dotarlo di una maggiore base sociale, —questo è quanto sembra mettere il evidenza il dossier #EnfoCATs. Tuttavia, un evento chiave e direttamente collegato con la teoria prima segnalata è venuto a stravolgere questa logica: il risveglio dei cittadini non in sintonia con i presupposti del processo indipendentista, su cui hanno fatto breccia organizzazioni civiche come SCC e le reti della Resistenza, —che per anni ha avvertito, in solitario, di ciò che accadeva in Catalogna. Questo risveglio è una buonissima notizia perché è un primo passo per dare maggiore visibilità in termini di relazioni sociali intermedie e della vita quotidiana al pluralismo della società catalana, ma anche per promuovere la creazione di nuovi gruppi sociali intermedi veramente indipendenti, un buon auspicio per una maggiore e migliore democrazia.

 

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