Originale: “Independencia sin blanca”. Luis Garicano, Francisco De la Torre. El Mundo
La Catalogna non ha un erario proprio in grado di riscuotere le tasse più rilevanti. Non ha informazione dei contribuenti, né un sistema legale.
C’è una connessione diretta tra la fuga delle grandi corporazioni catalane e la dichiarazione d’indipendenza “sospesa – reversibile” di Carles Puigdemont (NdT: presidente del governo della Catalogna). Come molti hanno sottolineato, è vero che il recente trasferimento della sede di queste compagnie ha un effetto contenuto sulla riscossione fiscale di uno Stato unificato come la Spagna. L’imposta sulle società, con l’eccezione di Navarra e dei Paesi Baschi, è un introito statale, che si paga all’Agenzia Tributaria, ed è l’unica tassa rilevante che lo Stato non condivide con le Comunità Autonome (NdT: le regioni della Spagna).
Ma la conseguenza più importante di questi trasferimenti è passata inosservata. In pochi si sono resi conto che questa fuga ha bloccato qualsiasi sogno possibile di uno Stato indipendente. Il motivo è molto semplice: uno Stato solo può essere viabile se è capace di riscuotere le tasse per finanziare le proprie spese. La prima cosa che dovrebbe fare la Generalitat di una Catalogna apparentemente indipendente per far sì che l’indipendenza fosse reale sarebbe esigere ai suoi cittadini e alle sue corporazioni che paghino le tasse.
Fare ciò era estremamente difficile già prima della scorsa settimana. La Catalogna non ha un erario proprio in grado di riscuotere le tasse più importanti, ossia l’IRPF, l’imposta sulle società, l’IVA e le tasse speciali. La Generalitat (NdT: il governo regionale della Catalogna) non ha il sistema informatico, né il personale, né ancora meno l’informazione, ottenuta legalmente, necessaria per riscuotere queste tasse. Non ha nemmeno un sistema legale, che è giusto quello che distingue le tasse da altri pagamenti coercitivi.
Ma, con il trasferimento delle compagnie, quello che era una chimera è diventato completamente impossibile. Le grandi corporazioni pagano direttamente molte tasse. Circa 3.000 aziende che rientrano nelle competenze della Delegazione Centrale dei Grandi Contribuenti –quelle con un fatturato superiore ai cento milioni di euro- pagano circa il 50% dell’Imposta sulle società e un terzo delle ritenzioni per IRPF e dell’IVA. Nel caso della tassa sugli idrocarburi, il 90% si paga a Madrid, dove hanno la loro sede fiscale le grandi compagnie petroliere, indipendentemente da dove siano situate le raffinerie, o da dove il cliente faccia benzina.
Ma ancora più importante delle tasse pagate è l’informazione che offrono le grandi corporazioni e la grande banca. La maggior parte dell’informazione che è gestita dall’erario procede dalla informazione che offrono le grandi aziende. Questa informazione è quella che permette di fare la stesura delle dichiarazioni dei redditi o di obbligare gli altri imprenditori e professionisti a dichiarare le loro vendite e le loro entrate, piaccia loro o no.
Immagini che CaixaBank riceve una lettera di un nuovo Ministero delle Finanze catalano, esigendo che paghi i contributi dell’IRPF dei suoi lavoratori in Catalogna. Prima del trasferimento della sede, i separatisti potevano sognare con un conflitto di giurisprudenza, esistendo una presunta legalità catalana, oltre alla spagnola. Adesso, invece, CaixaBank è un’azienda estera per questa presunta legalità. La risposta sarà: “La chieda alla nostra centrale di Valencia”. Il problema è che neanche i separatisti possono sognare di chiedere questi dati, o ancora meno i soldi, a un’azienda che, dal loro proprio punto di vista, è straniera. Quello che dovrebbero fare sarebbe chiedere all’altra Amministrazione, in questo caso la spagnola, che sia chi richieda i dati e trasferisca il denaro. In una Catalogna senza convegni né accordi internazionali, tutto questo va oltre la fantascienza.
Riassumendo, anche se solo l’Imposta sulle Società proviene dalle grandi compagnie, è impossibile riscuotere le altre tasse se queste aziende non collaborano almeno un po’. Se non puoi accedere né ai soldi, né all’informazione, perché la sede è all’estero, in un paese con il quale non hai convegni firmati, allora la maggior parte delle imposte non si possono riscuotere. Senza le grandi corporazioni, anche avendo un erario proprio, cosa che la Generalitat non ha, non è possibile la riscossione.
A questo c’è da aggiungere che la fuga delle banche, che hanno deciso di stare sotto la legalità spagnola, suppone che qualsiasi conto che apra la Generalitat per riscuotere le imposte possa essere bloccato o chiuso con una semplice autorizzazione amministrativa.
Il trasferimento della sede non è così semplice per le compagnie di piccole dimensioni. Queste, se fossero soggette alle richieste fiscali di due amministrazioni, fallirebbero in molte se volessero soddisfarle. Queste compagnie non possono trasferire la loro attività a un’altra sede già esistente, perché non ce l’hanno. Se vogliono imitare le grandi, ed evitare l’enorme incertezza giuridica, non possono fare altra cosa che andarsene fisicamente.
L’esodo è già iniziato. Quanto più durerà il periodo di ambiguità e d’incertezza giuridica, tante più compagnie dovranno andarsene. Nel breve e nel medio periodo, si trasferirà fuori dalla Catalogna il personale con stipendi elevati, le piccole compagnie di servizi e, in generale, l’attività economica. Questo provocherà l’impoverimento di noi tutti, e specialmente in modo massivo dei catalani. È ora di smetterla con questa pazzia. L’indipendenza è un happening con un solo piano fattibile: il leninismo del “quanto peggio, tanto meglio”, rompere tutto, impoverire tutti e mettere i catalani gli uni contro gli altri per provocare una presunta trattativa. I separatisti direbbero: “Amiamo così tanto la Catalogna, che vogliamo vederla distrutta”. Questo cammino è evidentemente insensato, e deve essere fermato il prima possibile.