In Italiano Voices From Spain

Non esageri, Maestà

Originale: “No exagere, majestad”. Manuel Cruz. El Confidencial

Un atteggiamento diffuso tra l’opinione pubblica catalana è quello di definire eccessiva ogni iniziativa di Madrid che metta in discussione le decisioni del Govern a qualsiasi livello.

“Non esageri, signoria” è la frase, già divenuta famosa, con la quale gli agenti dei Mossos d’Esquadra (NdT: polizia regionale della Catalogna) hanno risposto alla titolare del Tribunale Istruttorio numero 2 di Amposta,  il distretto giudiziale a cui appartiene Alcanar (Tarragona), quando lei disse che le bombole di gas della casa okkupata che scoppiarono due giorni prima dell’attentato terrorista nella Ramblas di Barcellona dello scorso agosto potevano essere state preparate per un attentato.  Mi sono ricordato della frase vedendo le reazioni di alcune persone dei circoli indipendentisti dopo il discorso del Re dell’altra notte.

Non si tratta, ed è meglio dirlo subito, di comparare situazioni (in concreto, l’imminenza di un attentato terrorista e l’imminenza di una DIU –dichiarazione di indipendenza unilaterale-), ma di omologare reazioni. Si direbbe che un atteggiamento molto diffuso tra l’opinione pubblica catalana è quello di definire eccessiva qualsiasi iniziativa procedente da Madrid che, semplicemente, metta in discussione le decisioni e i comportamenti del governo della Catalogna, a qualsiasi livello.

Così, per riferirmi solo alle ultime settimane, dalle cariche della polizia alle perquisizioni delle tipografie, dalle misure per il controllo delle finanze ai processi di alti dirigenti, e così con tutto, queste cose spesso sono criticate non per la loro illegittimità o ingiustizia, ma per la loro presunta esagerazione. È come se molti in Catalogna, scandalizzati dalle reazioni che provocano le loro azioni, esclamassero continuamente quando vedono le conseguenze che hanno provocato: ma che sarà mai!

Sbaglierebbe chi identificasse questo atteggiamento con il sangue freddo o con una impassibilità quasi orientale. No. Il fondo del problema ha a che vedere con una predisposizione indotta con persistenza durante anni in Catalogna, praticamente dall’inizio del “proces” (NdT: processo, in catalano nel testo originale). Una predisposizione che è sfociata nell’assenza della critica politica  propriamente detta, nello spazio pubblico in generale, e la totale mancanza di autocritica da parte dei governanti catalani in particolare. La diffusa convinzione che l’essenza della politica dei partiti dipendeva dalla forma di relazionarsi con Madrid che ognuno di loro rappresentava, come se la politica interna non avesse la minima importanza, ha finito per provocare una convinzione di secondo grado, che si è rivelata nefasta. Questa seconda convinzione sarebbe, spiegandolo telegraficamente, che niente di cattivo o sbagliato può succedere come conseguenza delle nostre azioni. E se succedesse veramente, una simile deviazione solo potrebbe essere colpa di Madrid.

Così, anche se da fuori risulta sorprendente, qui c’è ancora qualcuno che considera che il fatto che la dichiarazione d’indipendenza sia dietro l’angolo non è un motivo sufficiente per preoccuparsi. E non sono mancati quelli che hanno espresso come primo (e in molti casi unico) commento al discorso del Re la mancanza della parola dialogo nel suo intervento. Si noti che il risultato implicito di questo rimprovero è che in qualche modo bisognerebbe attribuire a Felipe VI la responsabilità del clima di allarme che potrebbe essersi scatenato da quel momento. In questo modo, i suddetti critici, hanno evitato entrare nel fondo del problema.

Più in là delle interpretazioni possibili sul fatto che il Re abbia avallato o no con le sue parole che il Governo di Mariano Rajoy adotti determinate misure legali (l’articolo 155, fondamentalmente –NdT: articolo della Costituzione spagnola che prevede la possibilità di intervenire la autonomia di una regione in determinati casi-), l’importante del suo discorso è stato altro, cosa che d’altra parte il proprio Re ha sottolineato, anche con il linguaggio corporale-. L’importante era in un altro posto, ossia nel fatto che il RE ha denunciato che il Govern della Generalitat (NdT: il governo regionale della Catalogna, in catalano nel testo originale) ha superato tutte le linee rosse della slealtà istituzionale. Ovviamente, davanti una critica così grande e contundente, risulta complicato mantenere l’argomento della esagerazione centralista, ciò che ha obbligato l’indipendentismo a ricorrere a un argomento di rinforzo, già usato abbondantemente in occasioni anteriori.

L’argomento di rinforzo è quello che cerca di difendersi dalle critiche ricorrendo a un torto ricevuto. Di fatto, la logica che sembra soggiacere al discorso indipendentista quando interpreta le sue proprie azioni è che queste, siano quali siano, non possono essere condannate, perché sono la reazione a qualcosa. In questo modo, se mi si permette la semplificazione, gli indipendentisti confondono l’avere una ragione per agire in un determinato modo, con  avere ragione.

Penseranno i lettori che la differenza è semplice, ma non sembra che sia percepita con la stessa chiarezza dall’indipendentismo. Il discorso indipendentista sembra funzionare secondo una logica che potrebbe riassumersi così: qualsiasi cosa faccia il Governo centrale che non mi piaccia (anche se solo perché non compie le mie aspettative), o qualsiasi cosa che non faccia, se io desidero che la faccia (immaginiamo: farmi una proposta), giustifica che io risponda come voglio, senza possibilità di critica o condanna. Ma è ovvio che uno sbaglio dell’altro non rende buona qualsiasi risposta. Un risposta, diciamo, smisurata, non è giustificata dal fatto che sia stata scatenata da un torto precedente. Perché, effettivamente, la risposta deve mantenere una certa proporzionalità o corrispondenza con quello a cui vuole rispondere. Sennò, si corre il rischio di cadere in quello che il linguaggio popolare chiama “uccidere le mosche a cannonate”.

Siamo così davanti a un notevole esempio di quello che, cedendo per un momento alla tentazione del linguaggio filosofico, potremmo chiamare innocenza irriducibile o impunità argomentativa, decidano i lettori la formula che più li soddisfi. In parole più semplici: secondo l’indipendentismo, per definizione, non si è responsabili di nulla e non è necessario dare argomenti solidi per giustificare quello che si fa. Fino a questo punto è arrivato il suo volontarismo messo al nudo. Pensiamo ad alcune delle ultime dichiarazioni del presidente Puigdemont (NdT, il presidente del governo catalano), e concretamente alle due dell’uno di Ottobre.

Nella prima, la mattina della domenica, si limitò a criticare lo Stato spagnolo con aggettivi di ogni tipo per le eccessive cariche della polizia che erano successe la mattina presto. Tutto questo, come se il suo stesso governo fosse del tutto innocente al rispetto e non avesse nessuna relazione (diretta o indiretta attraverso i suoi terminali, la ANC y Omnium Culturall –NdT: associazioni dell’orbita dell’indipendentismo catalano-) con l’incitamento al popolo  a ribaltare la legalità e ad occupare la notte prima le scuole che dovevano essere i seggi elettorali.

Ma ancora più significativo risulta il discorso che pronunciò dopo la chiusura dei seggi elettorali. Si presentò circondato da tutto il Govern e, senza dare nessuna cifra, (sembra che abbia pensato “a chi interessa un dettaglio così insignificante come il risultato esatto della consulta in un momento di così grande trascendenza storica?”) si dedicò a rinnovare le sue critiche contro l’azione della Polizia. Poi, senza nessun argomento, come se fosse una deduzione ovvia (mentre si trattava di un non sequitur fragrante) estrasse da quelle critiche la conclusione che il popolo catalano “si era guadagnato il diritto all’indipendenza”. Il fatto che il presunto referendum avesse incompiuto tutti gli standard esigibili per essere riconosciuto come tale in qualsiasi democrazia che si rispetti era, secondo Puigdemont, del tutto irrilevante, una minuzia senza la minima importanza. Si tratta dell’esempio più chiaro di ciò che stavamo commentando. Apparentemente, un torto legittima qualsiasi risposta, quella che chi ha ricevuto il torto decida secondo la sua volontà. In questo caso, la questione è ancora più evidente: per il president de la Generalitat, una carica della Polizia legittima un broglio elettorale.

 

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