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Ribellione e tradimento: i demoni familiari d’Europa e il mandato europeo. Un prologo per tedeschi

Foto Daniele Levis Pelusi on Unsplash

Originale: «Rebelión y traición: los diablos familiares de Europa y la euroorden. Un prólogo para alemanes.» Luis Arroyo Zapatero. Almacén de Derecho.

10 luglio 2018

Tutti i codici penali contengono forme di reati che puniscono le azioni mirate ad alterare o sopprimere l’ordine costituzionale. Non sempre i precetti legali che colpiscono tali atti sono uguali: ciascun paese lo fa coerentemente con le ossessioni o con i demoni familiari che la propria storia nazionale ha coltivato. Non dimentichiamo che il Diritto penale come potere e come codice era ritenuto quanto di più essenziale di uno Stato, al pari della moneta nazionale. In Europa la moneta e buona parte della legislazione penale sono state armonizzate. Su quanto non armonizzato, opera il Diritto Europeo, che stabilisce il riconoscimento reciproco automatico di un ampio elenco di reati e quasi automatico di altri (D.M. 2002/584/JAI, art. 1, comma 2 e 4), per garantire la cooperazione giudiziaria nella lotta contro il crimine. Ed è questa la questione che si dibatte nelle aule di Bruxelles e di Schleswig-Holstein in rapporto al caso del putsch del governo di Catalogna.

In Spagna i demoni familiari protagonisti sono i reati di ribellione e sommossa che, pur figurando tra i reati contro l’ordine pubblico, sono strettamente vincolati con l’ordine costituzionale, in un rapporto tecnico di alternanza. È logico, i problemi per l’ordine costituzionale spagnolo dal 1812 sono stati i pronunciamenti o insurrezioni militari, che hanno segnato la storia spagnola per due secoli.

La Spagna ha vissuto con stabilità nel suo ordine domestico e con piena vigenza dei diritti fondamentali a partire dal 1978 e per 40 anni, con solo due tentate ribellioni, il golpe militare del 23 febbraio 1981 e ora uno civile, o, come vedremo, civico-delle forze dell’ordine, come l’insurrezione per l’indipendenza della Catalogna. È la ribellione del peggiore dei nostri vecchi demoni familiari spagnoli. La sintesi che della storia di Spagna hanno fatto anni fa Jordi Solé Tura ed Eliseo Aja nel loro Constituciones y períodos constituyentes en España 1808-1936, del 1978, metteva in evidenza che la tragedia del nostro sistema e della nostra struttura politica comportava per ogni cambio politico profondo un cambio di Costituzione, per mezzo della forza, per mezzo della violenza o per mezzo della guerra civile. Ed è che lo stato naturale degli spagnoli –così come la storia stessa di tutti gli Europei– non è mai stato la democrazia solida, ma l’instabilità e, sistematicamente, la guerra civile. Dal contrasto con questo divenire deriva la grandezza del periodo iniziato con la transizione e con la Costituzione del 1978, la democrazia più lunga e fruttifera della storia della Spagna.

L’altro demone nazionale spagnolo per eccellenza è il nazionalismo, con pulsioni separatiste in alcune regioni. Nella democrazia costituzionale credevamo di aver legittimato istituzionalmente i nazionalismi con il regime delle autonomie, particolarmente forti nei Paesi Baschi e in Catalogna, ma abbiamo visto che così non è stato in Catalogna, dove una metà ha voluto imporsi sull’altra e su tutti gli altri. È interessante notare che il l’adeguamento si è chiuso con l’approvazione del Codice penale nel 1995: non si punisce né propugnare l’indipendentismo, né dichiararlo come proposito e vocazione, ma solo quando si cerca di imporlo con la forza, violentamene, vulnerando la Costituzione e lo Statuto, sostituendo illegalmente con la forza –o l’astuzia– un ordine giuridico con un altro, che è la definizione di colpo di stato di Hans Kelsen.

I demoni nazionali della Germania sono diversi. La storia costituzionale tedesca mostra le tensioni proprie della pluralità di Stati con tensioni all’interno del grande spazio pangermanico –Prussia, Austria, Baviera e altri– che nel corso della storia presente hanno vissuto in permanente guerra tra di loro o contro gli altri paesi europei. Il perno di questa storia è stata la fedeltà nazionale contro il tradimento. Per una nazione in guerra permanente il demone principale, il nemico per la sua esistenza, non è tanto la ribellione quanto il tradimento.

Tutto si è aggravato in questo senso dopo l’instaurazione delle due Germanie. Ecco perché il reato penale che protegge lo stato dagli attacchi più gravi si chiama “alto tradimento” alla Repubblica Federale o a uno dei suoi Länder. Il tradimento che ha per le mani la giurisprudenza tedesca, citato ora dalla Corte di Schleswig-Holstein, è un caso di manifestazione aggressiva contro l’ampliamento dell’aeroporto di Francoforte, che la procura tedesca ha qualificato di alto tradimento. La Corte lo ha contestato, ma non perché non vi fosse tradimento alcuno, ma perché la forza dei manifestanti “non era sufficiente a sopraffare la volontà dello Stato”. Ha accettato, però, che vi fosse stato una turbamento della pace nazionale, concetto che in tedesco suona più sconvolgente: Landfriedensbruch. La Corte ha aggiunto che non fosse sufficiente a raggiungere il concetto di violenza il fatto che la polizia dello Stato di cui Francoforte è la capitale avesse dovuto richiedere rinforzi dalla polizia degli altri stati vicini. Argomento non paragonabile al caso spagnolo in cui, come vedremo più avanti, il problema è stato dato proprio dal fatto che la polizia del Land, la Catalogna, è stata lo strumento principale della congiura, e che l’autore principale della stessa è stato il presidente del Land. In realtà, la Corte di Schlegwig-Holstein non avrebbe dovuto spingersi fino all’aeroporto di Francoforte e avrebbe dovuto ricorrere al caso del Putsh di Prussia nel 1932, in cui il Reichskanzler von Papen, illegalmente, destituì il governo autonomo del Land più grande della Germania e nominò sé stesso Reichskommisar di Prussia, rimpiazzando i massimi esponenti della polizia, formata da 90.000 agenti. Il governo legittimo si arrese al coup d’état per evitare una guerra civile, anche se questa fragilità avrebbe aperto la strada mesi dopo alla presa illegale del potere da parte di Hitler. Un argomento di cui si sono occupato Hans Kelsen, a difesa della costituzione, prima di essere espulso dagli xenofobi nazional-socialisti, e Carl Schmitt, nel ruolo del demonio stesso.

Un caso dalle caratteristiche simili è quello del Belgio dove, prima del primo tentativo di richiesta di consegna di Puigdemont, si scoprì che, sorprendentemente, l’ordinamento non prevedeva un reato equivalente di ribellione ma, come per i tedeschi, esisteva il reato di tradimento. Anche in questo caso la spiegazione è molto “nazionale”: in questo paese il demone principale, oltre al Duca d’Alba, è la divisione del paese in due metà, fiamminghi e valloni, che hanno in comune il capo di Stato e poco più della Corona, con un’apparenza di governo unito nazionale, costruito in realtà da una coalizione dei partiti aggruppati dalle rispettive due lingue, e che è capace di dividere la storica Biblioteca universitaria di Lovaina tra la fiamminga e “la nuova”, assegnando a una i libri dalla A alla N e all’altra quelli dalla M alla Z. Il problema del Belgio non sono le ribellioni, ma le pulsioni per il separatismo dei fiamminghi, i quali, consapevoli del carattere suicida di un ipotetico tentativo di ribellione, commettono solo tradimento ed esclusivamente quando i tedeschi invadono il loro territorio come conseguenza delle guerre civili europee che gli stessi tedeschi hanno organizzato fino al 1945.

Fino all’ultima Guerra Mondiale, la Francia ha avuto le sue apprensioni per la sicurezza dello Stato nel terreno tra la Rivoluzione e il Monarchismo. Negli anni sessanta il problema maggiore è stato scatenato dalla guerra di Algeria, dal terrorismo interno dei militari e dal terrore nella colonia fino all’indipendenza. Il reato massimo prese il nome di complot, equivalente alla ribellione spagnola, termine che tanto scompiglio ha causato al Giudice francese di Norimberga Henry Donedieu de Vabres, ché nulla aveva a che vedere il complot con la conspiracy, tanto cara agli americani. I reati per eccellenza in quel periodo sono il tradimento, lo spionaggio, gli attentati all’integrità dello Stato, soprattutto per quanto riguarda l’indipendenza dell’Algeria, e il complot, sempre grave o aggravato, con pene da 5 a 20 anni, senza che fosse considerato reato minore quello meramente “dichiarativo” o programmatico. Con la riforma penale del Codice di Mitterrand e Badinter nel 1992 è cambiata sia la posizione nel Codice dei reati contro lo Stato sia la loro configurazione. I reati più gravi sono l’attentato e il complot, il primo come attacco violento atto a mettere in pericolo la Repubblica o colpire l’integrità nazionale; il complot è la risoluzione presa tra vari per commettere un attentato, ossia, la cospirazione per attentare con violenza contro la Repubblica o l’integrità territoriale. Il complot è punito con una pena massima di 20 anni se messo in piedi da autorità pubbliche, mentre l’attentato è punito 30. Per aggiungere ulteriore confusione, il codice francese contempla un reato chiamato di ribellione, che materialmente equivarrebbe al nostro attentato.

Anche l’Italia rispecchia la sua vita politica nel suo sistema penale. La tardiva e sanguinolenta unità d’Italia ha posto la maggiore preoccupazione penale a favore dell’integrità nazionale e contro il separatismo. La scenografia penale italiana degli anni 60 e 70 è stata dominata, da una parte, dalla mafia e, dall’altra, da un inciucio tra forze di estrema destra e servizi di intelligence e una controparte di estrema sinistra, che hanno sottoposto la società italiana a un terrorismo furioso. Alla ribellione e ai reati contro la sicurezza e integrità dello Stato rimane poco posto nello scenario penale e politico italiano. Il rischio della frammentazione dell’Italia è fenomeno solo del tempo della sua decomposizione politica con l’arrivo di Berlusconi. Anche se va avanti.

In definitiva, ai fini della cooperazione giudiziaria internazionale, che si tratti della tradizionale estradizione o, ancor di più, del mandato di arresto europeo, la cooperazione stessa non può consistere nell’accertamento di una concordanza esatta tra il Diritto dello Stato richiedente e le specifiche fattispecie di reato. Deve essere un giudizio sulla penalità astratta dei fatti secondo il Diritto del paese. Ma i “resoconti” dei giudici non sono facilmente trasferibili nei loro rispettivi linguaggi tecnici specializzati. Così, dopo oltre un mese dal rifiuto, il magistrato della Corte Suprema ha inviato il 26 aprile ai suoi colleghi tedeschi una testimonianza o resoconto “per tedeschi”, come il famoso testo che José Ortega y Gasset ha voluto per la terza edizione tedesca de El tema de nuestro tiempo, un “Prologo per tedeschi”, perché, dopo l’approvazione delle leggi contro gli ebrei nel 1933 –che avrebbero colpito la sua stessa traduttrice– e il Putsch di Rhöm, lo faceva rabbrividire il fatto che i suoi testi, scritti sempre partendo da presupposti interni spagnoli e iberoamericani, potessero dar luogo lì a equivoci e incomprensioni. E voleva farlo perché, come diceva, il tedesco è privo di benevolenza e “la generosità cordiale germoglia in lui solo quando è preso alla sprovvista e smette di essere ciò che davvero è”.

E così il giudice della Corte Suprema ha redatto un prologo, che era più un epilogo, in cui chiede ai suoi colleghi al di là del Rhin cosa sarebbe successo in Germania se i fatti fossero successi lì e glieli espone: si costituisce un governo di un Land, ad esempio della Baviera, dopo elezioni presentate come plebiscitarie, che come tali perdono, su un patto di governo che esplicita tutto ciò che credono necessario per imporre l’indipendenza e si mettono all’opera entro i confini e in tutta Europa, vulnerano la Costituzione nazionale e quella dello stesso Land, violano oltre dieci sentenze della Corte Costituzionale e le rispettive ingiunzioni formali ad astenersi a procedere e, con il consenso dello stesso governo, delle amministrazioni e delle organizzazioni politico-culturali, convocano un referendum che è dichiarato incostituzionale. Avvisati dalla polizia autonoma, che da quel governo dipende, che potrebbero verificarsi scontri violenti, hanno accettato consapevolmente tali rischi e, con la collaborazione della direzione di questa forza armata costituita da diciassettemila (!) poliziotti e da altre migliaia di agenti municipali, altrettanto armati, hanno lanciato un milione di cittadini verso uno scontro con le forze di sicurezza dello Stato che avrebbe potuto finire molto facilmente nel sangue. Ma questo sangue è proprio ciò che si cercava di sfruttare, per presentare così all’Europa una richiesta di indipendenza “alla Kosovo”, con la pretesa che l’Unione Europea riconoscesse l’indipendenza di fatto e, con ciò, un regime supremazista totale e xenofobo su tutti i catalani. Secessionismo xenofobo rappresentato molto bene dal neopresidente della Generalitat, le cui perle di pensiero andrebbero ugualmente e urgentemente tradotte per tedeschi, che ne comprenderebbero meglio di altri il significato e portata. Eventualmente, sarebbe bastato anche un numero sufficiente di feriti veri -le fake news hanno diffuso la cifra di 800, ma il sistema sanitario ne ha registrati solo 4- che permettesse di rivendicare l’intervento dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione per la denuncia di violazioni gravi dello Stato di Diritto, come nel caso della Polonia e dell’Ungheria. La ricerca di una soluzione di remedial secession come quella della sentenza della Corte dell’Aia del 2010 è l’essenza di questo colpo di Stato che alcuni, per le sue circostanze accompagnanti, definiscono “postmoderno”.

Innanzi a questo panorama, esposto plasticamente dal magistrato nel “prologo per tedeschi” e comprensivo di video che mostrano violenze più che sufficienti a soddisfare il requisito della sommossa, è possibile capire meglio che il referendum non era il reato, ma lo strumento della ribellione e che la violenza o minaccia di violenza non si trovava nei pacifici elettori, ma nel piano del governo che disponeva dell’apparato di polizia armata dei congiurati. Alcuni non vedono la polizia nelle manifestazioni se questa non si mette davanti, ma dietro. La conclusione risulta ora facile: in Germania e in qualunque paese civilizzato, questi fatti sarebbero trattati come un reato grave e starebbero tutti in custodia cautelare. Solo un processo nel paese dei fatti potrà stabilire i reati commessi e le responsabilità dei protagonisti: Hochverrat / Ribellione, Landesverrat / Landsfriedenbruch / Sommossa o la cospirazione per ciascuno di questi.

In definitiva, il giudice ha elencato dei fatti che in Spagna sono costitutivi di ribellione o sommossa, e che anche in Germania sono costitutivi di reato –indipendentemente dal loro nome– con pene gravi. Ai sensi del principio europeo di fiducia reciproca, che significa che le risoluzioni degli altri vanno rispettate come se si trattasse delle proprie, e alla Decisione Quadro regolatrice del mandato di arresto europeo, la consegna risulta obbligata. E non può essere altrimenti, perché ciò che la legge europea comporta è l’esclusione dalla consegna solo per reati lievi o per comportamenti che non costituiscono reato, come potrebbe essere il caso di un richiesta dell’Irlanda alla Germania per una interruzione di gravidanza che –al momento– è considerata reato solo in quel paese.

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