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Discorso tenuto dall’ambasciatore spagnolo al Smithsonian Folklife Festival

Photo by James Padolsey on Unsplash

Discorso tenuto dall’ambasciatore spagnolo, Pedro de Morenés

Per gentile concessione dell’ufficio stampa dell’Ambasciata di Spagna a Washington

27/06/2018 RICEVIMENTO DI INAUGURAZIONE – SMITHSONIAN FOLKLIFE FESTIVAL

Sua Eccellenza Presidente di Armenia,

Sua Eccellenza Ministro della Cultura di Armenia

Sua Eccellenza Ambasciatore di Armenia,

Onorevole Presidente della Generalitat,

Direttore dello Smithsonian Folklife Festival, organizzatori,

Ufficiali, autori, creatori, signore e signori:

Prima di tutto, vorrei ringraziare il Segretario Skorton per avermi invitato a partecipare a questo evento. Oggi, celebriamo la grandezza della cultura catalana in questa città emblematica che è Washington, D.C. Questo evento rappresenta solo un piccolo esempio della ricchezza di tradizioni, espressioni artistiche, e creazioni varie del prolifico popolo catalano nel corso dei secoli. Siamo infatti in presenza di una cultura che risale a oltre mille anni fa, e che si è alimentata delle tradizioni dei molti popoli che si sono incontrati nella Penisola iberica; una cultura che, grazie alla posizione geografica privilegiata della Catalogna e alla sua apertura al mare, ha sempre avuto una forte influenza europea e mediterranea.

La Catalogna è orgogliosa, in particolare, della sua lingua, nata contemporaneamente ad altre lingue romanze che si sono diffuse in tutto il Mediterraneo; oggi, il catalano è lingua co-ufficiale ai sensi della Costituzione spagnola, che gli attribuisce uno status singolare e privilegiato. Oggi, il catalano è lingua di insegnamento in tutto il sistema scolastico in Catalogna per tutte le materie obbligatorie, comprese storia, geografia, e tutte le branche della scienza. È inoltre la lingua preminentemente in uso nell’amministrazione pubblica catalana.

La Catalogna gode oggi del più alto livello di auto-governo, libertà e prosperità della sua storia. La transizione spagnola verso la democrazia alla fine degli anni ’70 ha creato un sistema chiamato «la Spagna delle autonomie», o regioni autonome, che lo ha reso uno dei paesi più decentralizzati al mondo —anche più di molti paesi che si definiscono «federali». Ma non voglio fare digressioni teoriche o propaganda infondata. Passo dunque ai dati.

La Costituzione spagnola del 1978 ha instaurato una democrazia parlamentare di altissimo spessore che, per citare un esempio, Freedom House ha classificato come democrazia piena, con la massima valutazione in termini di diritti e libertà politici e civili. Anche il Democracy Index elaborato dall’Economist Intelligence Unit colloca la Spagna tra le prime 20 democrazie al mondo. Siamo inoltre uno dei paesi ad aver ricevuto il minor numero di sentenze con verdetto di violazione dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tra l’altro, la Costituzione del 1978 è stata approvata in un referendum, con un 88,54% dei voti a favore, una proporzione enorme; e in Catalogna i voti a favore sono stati del 90%. Permettetemi dunque di rettificare, con dati e cifre, la propaganda divulgata dal Sig. Torra, perché ai nostri amici americani piace basare le loro opinioni su dati e cifre.

Non ci sono prigionieri politici in Spagna. Non sono solo io a dirlo. Lo hanno affermato rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch. Ci sono politici che, benché ripetutamente avvisati dai loro stessi servizi giuridici, hanno deciso di stravolgere le regole parlamentari e di contravvenire allo Statuto di autonomia della Catalogna e alla Costituzione spagnola. Dare carta bianca per l’esercizio della politica al di fuori della legge —in violazione della legge— segnerebbe la fine della democrazia stessa. È questo il motivo per cui intervengono i giudici: per salvaguardare la democrazia e lo Stato di diritto. Questo è il motivo per cui ci sono politici in prigione: perché hanno violato la legge.

In Spagna, la precedente amministrazione si è vista costretta ad applicare l’articolo 155 della Costituzione —noto come meccanismo di coercizione— una disposizione prevista dalle costituzioni di tutti gli stati federali europei. Con l’appoggio del 80% del Senato, l’amministrazione si è vista costretta a prendere misure straordinarie. Perché? Semplicemente per ristabilire la legalità in Catalogna. Come risultato dell’applicazione dell’articolo 155, le istituzioni catalane hanno applicato le leggi catalane, e sono state immediatamente convocate elezioni per formare un nuovo parlamento catalano. Questo ha consentito di adempiere a pagamenti in sospeso, pubblicare offerte di lavoro, deliberare sui ricorsi, cioè, governare con normalità la comunità autonoma, occupandosi dei problemi reali della gente.

Sig. Torra, il suo appello all’autodeterminazione non è condiviso su questo palco. Farebbe bene a ricordare che la maggioranza della popolazione in Catalogna non ha votato per politiche secessioniste. Rispetti la volontà della maggioranza —farlo è un fondamento della democrazia— e governi per tutti, non solo per i suoi alleati.

Perché esistono davvero i catalani che non vogliono l’indipendenza, che sono liberi e che meritano il suo rispetto.

Anche io porto un nastro sul cuore per le centinaia di migliaia di catalani che vivono nel timore, prigionieri nella loro stessa comunità, perché si identificano come spagnoli oltre che come catalani. Questi sono i catalani che il governo autonomo ignora, esclude e oltraggia. Non è così che i leader eletti dovrebbero agire in un sistema democratico.

Ma siamo qui oggi per parlare di cultura. Per parlare dell’espressione culturale e artistica in Spagna che è sorta dal pluralismo, dalla diversità e dalla libertà, e che ha incoraggiato un rafforzamento impareggiabile delle identità regionali, compresa quella della Catalogna. Solo in un contesto di rispetto per i diritti umani e per le libertà poteva esserci un tale fiorire di creatività artistica, rispetto per la tradizione, e modernismo insieme.

Perché la cultura catalana è motivo di orgoglio per la Spagna. I contributi storici, i movimenti artistici e letterari e le ricche tradizioni della Catalogna accolgono quelli di altre regioni spagnole in scambi che sono tanto antichi quanto intensi, e che hanno dato origine a forme di espressione tali come la rumba catalana —che ascolterete nei prossimi giorni— e a una leadership nei campi dell’arte e del design, con grandi nomi che hanno rivoluzionato il panorama artistico spagnolo del loro tempo: Dalí, Miró o Tàpies hanno spianato la strada a nuovi creatori che sono emersi spesso sulle coste del Mediterraneo e che hanno portato questa brezza di mare su tutta la penisola iberica. E alla penisola iberica è stata dedicata la famosa suite Iberia di un altro creatore catalano, il compositore Isaac Albéniz.

Nelle manifestazioni, tradizioni ed eventi di questi giorni osserveremo un patrimonio comune nato da un paesaggio naturale privilegiato –così amato da generazioni della mia famiglia– dove le montagne incontrano il mare, dove la Spagna si apre al resto dell’Europa, e dove le influenze straniere trovano una porta di ingresso verso la Spagna, come succede da secoli. Perché questo patrimonio di «Catalanità» è inerente alla nostra comune storia spagnola; ci rafforza nell’unione della nostra cultura e della nostra identità; e ci definisce, sia come catalani sia come spagnoli.

Vi ringrazio per la vostra attenzione e mi auguro che l’evento sia di vostro gradimento.

 

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