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Il giocco del trono: Sánchez, Torra e il Re

Photo by Floris Jan-roelof on Unsplash

Orginale: “A la luz del farol”. Ignacio Varela. El Confidencial

22 giugno 2018

Revocare la supervisione delle spese della Generalitat senza richiedere garanzie. Annunciare l’avvicinamento dei politici imprigionati alle carceri catalane controllate dai loro complici. Anticipare la disponibilità a ritirare i ricorsi alle leggi sospese dalla Corte Costituzionale. Rinviare «sine die» l’accordo multilaterale del finanziamento regionale per aprire uno spazio privilegiato di negoziazione bilaterale con la Catalogna, a scapito di fare aspettare altre 14 comunità autonome. Garantire a Torra la fotografia sulla scalinata del palazzo della Moncloa. Offrire leggi organiche che ribaltino la sentenza dell’Alta Corte sullo Statuto della Catalogna.

Tutto questo non è stato il prodotto finale di una trattativa tra il Governo di Sánchez e quello di Torra (anche se forse è la trattativa precedente alla mozione di censura). Questo è ciò che il nuovo Governo della Spagna ha già consegnato prima di sedersi (ufficialmente) al tavolo. Fino ad ora, non è noto che ci siano controparti dall’altra parte.

Se ci fosse qualche sindacalista in questo governo, avrebbe potuto spiegare al presidente la teoria del salame, secondo la quale tutto ciò che viene offerto prima di negoziare è considerato già concesso. L’altra parte mette la sua metà del salame in tasca e si prepara a tagliare l’altra metà a fette.

Chi ha consultato Sánchez prima di offrire pubblicamente tutte queste concessioni? Sappiamo che ne ha parlato a lungo con Pablo Iglesias; e si dice che Miquel Iceta parla quotidianamente con Torra. Ma non ci sono notizie che il Presidente del Governo abbia commentato alcuna di queste misure né con il Partito Popolare né con Ciudadanos.

Se nella fase anteriore Rajoy avesse preso in considerazione alcuna di queste misure o altre simili, avrebbe in precedenza richiesto l’opinione e il sostegno di Sánchez e Rivera. Il nuovo presidente, volutamente visibile, ha omesso quel passo.

La prima cosa che questo Governo ha fatto riguardo alla Catalogna è di sciogliere di fatto il cosiddetto blocco costituzionale che ha affrontato l’insurrezione secessionista dello scorso autunno. Scioglierlo a Madrid e anche in Catalogna: Borrell è un ministro, ma lo spirito di Vía Layetana è passato alla storia.

Più che una scortesia politica, sembra di essere nel preludio di un cambiamento radicale nella strategia e nelle alleanze del Governo della Spagna di fronte al conflitto catalano. Il patto delle forze costituzionali è sostituito da una concertazione con Podemos e una linea diretta tra Moncloa e Sant Jaume. Ciò che non si sposa bene con le ripetute richieste di lealtà nei confronti dell’opposizione: questa risponderà, non senza ragione, che la lealtà dove essere bidirezionale.

È logico che il Presidente del Governo riceva quello della Generalitat. Sarebbe anche salutare che a certo punto lo facesse il proprio monarca. Ma prima, dovrebbe essere chiarito se la persona che si sta recando è il presidente della Comunità Autonoma della Catalogna o quello della Repubblica catalana, perché giocare con la confusione avvantaggia solo una parte. Inoltre, è auspicabile condividere gli obiettivi e i risultati di quella intervista con le forze politiche impegnate nella Costituzione.

Con quale maggioranza assoluta si intende approvare le leggi organiche annunciate dal Ministro della Politica Territoriale per fare ritornare a gala il testo originale dello Statuto della Catalogna? Non conterà, naturalmente, con i voti del PP né di Ciudadanos. E ‘possibile farlo solo con la maggioranza che ha portato Sánchez alla Moncloa: PSOE più Podemos più i nazionalisti.

Vale a dire: o Sánchez bluffa di nuovo o intende gestire il conflitto catalano a prescindere dal primo partito della Spagna (PP) e dal primo partito della Catalogna (Ciudadanos), emarginando il centro-destra che rappresenta 11 milioni di elettori, 169 deputati e il maggioranza assoluta del Senato. Un esperimento simile a quello provato da Zapatero dodici anni fa, in una situazione molto meno grave di quella attuale, con il noto risultato.

In questo periodo di distensione – fino ad ora unilaterale – il movimento indipendentista ha bisogno di un nemico da perseguitare per mantenere alta la temperatura e le sue file strette. Dal momento che il governo si sta sgonfiando al loro favore, hanno deviato la rabbia verso il Re, a chi esigono per lettera di scusarsi per il suo discorso il 3 ottobre.

Hanno motivi per dolersi per quel discorso. Fu quello che scatenò l’effettiva reazione dello Stato quando il Governo di Rajoy, messo fuori combattimento, aveva perso il controllo della situazione. Quel discorso e ciò che ne derivò li privò della vittoria che per alcuni giorni credettero di avere sulla punta delle loro dita. Felipe VI non deve scusarsi per nulla, dal momento che non è lui che si è messo dall’altra parte della legge. In ogni caso, le scuse dovrebbero essere al contrario.

Pedro Sánchez, allora leader dell’opposizione, sostenne il discorso del Re senza riserve o sfumature. Ora, come Presidente del Governo, è ancora più obbligato a sostenere il Capo dello Stato di fronte all’aggressione perpetrata contro di lui. Anche se ciò danneggerà la sua nuova politica di alleanza.

Ricordiamo tutti l’agguato della manifestazione del 26 agosto, dopo gli attacchi terroristici a Barcellona. La solidarietà con le vittime divenne una manifestazione pro-indipendenza e un atto di ostilità nei confronti del Re e di ciò che rappresentava lì. È obbligo del Governo non consentire che qualcosa di simile accada di nuovo.

Oggi il Re viene a Tarragona per inaugurare i Giochi del Mediterraneo. Si prevede qualcosa di grosso. Di fronte a qualsiasi tipo di sfrontatezza, molestia o provocazione, il Presidente del Governo non può, usando le sue parole, guardare dall’altra parte. Se Torra non è in grado di ricevere il Re di Spagna in modo adeguato e rispettoso, Sánchez non dovrebbe ricevere Torra a La Moncloa, non importa quanto siano interessati a quella foto. Si chiama dignità istituzionale dello Stato.

La giustizia ha il compito di fare sapere agli indipendentisti che le loro sfide contro lo Stato non sono gratuite giuridicamente. È ora di far sapere loro che non lo sono nemmeno politicamente. Forse in questo modo la distensione può iniziare ad essere reciproca e produttiva, al di là di occhiolini e mosse per la galleria.

In questo gioco c’è solo un trono, il resto sono occupazioni pubbliche temporanee. Ognuno dovrebbe metabolizzare presto questa idea in modo che anche gli ego si sgonfino.

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