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11 giugno 2018
Pedro Sánchez non dovrebbe prendere una sola decisione importante rispetto alla Catalogna senza informarne prima -almeno- il PP e Ciudadanos. Lo Stato dovrà fare fronte a nuove sfide
Lucía Méndez ci ricorda ne El Mundo che quando un presidente abbandona bruciato il potere –come tutti quelli della nostra democrazia-, il suo successore dedica sempre i primi mesi a teatralizzare le differenze facendo il suo opposto. Aznar ha fatto il possibile affinché lo si vedesse fare l’opposto di González, Zapatero l’opposto di Aznar, Rajoy l’opposto di Zapatero; e ora Pedro Sánchez vuol fare notare ogni secondo che lui rappresenta l’opposto di Rajoy. La formula è efficace, ma effimera; più prima che poi, il ricordo si dissolve e ti confrontano solo con te stesso.
Credo che negli ultimi due anni il PP non abbia misurato fino a che punto la figura del suo presidente fosse diventata, anche per i suoi elettori, un’arma di disaffezione di massa. Per questo acuire il contrasto con Rajoy è adesso singolarmente funzionale per Sánchez. Non solo per una questione di immagine, ma perché prolungare l’impulso “antimarianista” che lo ha catapultato al potere è l’unica cosa che gli garantisce, al momento, gli appoggi indispensabili per governare in estrema minoranza.
Il nuovo Governo è molto consapevole del fatto che la Catalogna continui ad essere il problema più grave della Spagna. In questo, più che in nessun’altra questione, si gioca il successo o il fallimento della sua amministrazione. Per questo Sánchez ha inviato un messaggio per chiunque voglia riceverlo: io ho appoggiato Rajoy, ma non sono Rajoy. È quello che la sua ministra competente è andata a dire a Barcellona questo fine settimana.
Il conflitto della Catalogna continuerà per molto tempo, ma non sempre in fase incandescente. Dopo nove mesi traumatici che hanno sconvolto il paese e hanno portato lo Stato sul bordo del precipizio, c’è una visibile stanchezza sociale e una necessità di distensione in entrambe le parti. Ammettendo che non soluzione in vista al problema di fondo, quasi tutti preferiscono passare dallo scontro quasi allo sbando a un periodo di tensione controllata, anche se fosse solo per riprendere le forze per la battaglia successiva. Niente sfinisce tanto come battersi senza speranza di vittoria.
Il Governo di Sánchez è in condizioni migliori del suo predecessore per amministrare questa tregua. Perché la pressione della sua base elettorale è minore di quella del PP, soggetta in più a una OPA ostile di Ciudadanos; perché il 1 ottobre Rajoy ha esaurito il suo credito ed è rimasto senza spazio di manovra per eventuali movimenti conciliatori; e perché il PSC è più utile come spalla del quasi estinto PP di Catalogna. Chiunque sia nominato formalmente per l’incarico, Miquel Iceta officia già di fatto come rappresentante politico del Governo in Catalogna.
È probabilmente vero che per un’apertura alla distensione dovevano uscire di scena i due personaggi più polarizzatori –e paralizzatori-, Rajoy e Puigdemont. Rajoy è già andato via, e la faccenda Puigdemont è in forno. Nella mozione di sfiducia abbiamo visto la prima sconfitta dell’expresident all’interno del blocco indipendentista. E, ancora peggio per lui, il primo segnale di autonomia di Torra. I 17 deputati secessionisti non avrebbero dato il loro voto a Sánchez con l’opposizione esplicita del presidente della Generalitat. Diciamo che, come minimo, Torra ha ignorato il volere del suo padrone e ha lasciato fare.
Superata l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, il Governo annuncia la revoca del controllo preliminare alle spese della Generalitat. Che è disposto a negoziale le richieste presentate a suo tempo da Artur Mas (tutte tranne il referendum di autodeterminazione). Che potrebbe riconsiderare alcuni dei ricorsi del governo precedente contro le leggi del Parlament, la maggior parte per motivi di competenza. Annuncia un prossimo incontro del presidente del Governo con quello della Generalitat (come con tutti i presidenti delle altre autonomie). E ricorda che il suo limite invalicabile è la Costituzione.
Tutto questo sembra ragionevole. E lo sarebbe molto di più se avesse avuto l’accortezza di informare prima il PP e Ciudadanos, che hanno condiviso con il PSOE la difesa della legalità contro l’insurrezione e dovrebbero continuare a farlo.
Dopo nove mesi traumatici che hanno sconvolto il paese e hanno portato lo Stato sul bordo del precipizio, c’è una visibile stanchezza sociale
Spinto dall’euforia del momento, questo Governo potrebbe cadere in due tentazioni molto pericolose:
La prima sarebbe quella di dare adito ad aspettative impossibili da soddisfare. Sin dal primo momento ha indossato le vesti pompose di un governo di maggioranza che inaugura la legislatura e ha davanti a sé quattro anni per svolgere il programma. Ma la verità è che, oltre l’apparenza, molti dei propositi tanto proclamati non sono realizzabili nelle sue condizioni e con il tempo a disposizione. Più che altro andrebbe preso come un prequel del prossimo programma elettorale del PSOE (lo stesso Governo ha questa condizione di esca a promessa tempi migliori).
Sánchez sa benissimo che, nelle circostanze attuali, no esiste la minima possibilità di avviare la riforma costituzionale, e che servirsi della “maggioranza Frankenstein” per riformare di fatto lo Statuto della Catalogna dalla porta di servizio delle leggi organiche è un’assurda follia. E se non lo sa, c’è ancora di più da preoccuparsi.
La seconda tentazione, ancora più pericolosa, sarebbe liquidare di fatto il blocco costituzionale. Voler manovrare la questione della Catalogna in modo bilaterale con i nazionalisti, lasciando fuori la prima minoranza del parlamento spagnolo e la prima forza costituzionale della Catalogna. Questo errore lo ha già commesso Zapatero nel 2005 in una situazione molto meno grave dell’attuale, e da quelle ceneri provengono alcuni dei fanghi attuali.
Questo conflitto continuerà, lo Stato dovrà far fronte a nuove sfide. Non basta fare appello al senso di responsabilità degli altri, bisogna dimostrare il proprio. Tutte le forse costituzionali devono continuare ad essere analogamente coinvolte, e Sánchez non dovrebbe prendere una sola decisione rilevante rispetto alla Catalogna senza informarne prima –almeno- il PP e Ciudadanos. Anzi, ora ha una buona occasione per invitare a salire sul carro Podemos, cosa che risultava più difficile per Mariano Rajoy. Ormai, Iglesias dovrebbe essere scottato dalle sue avventure con il “procés”.
Questo conflitto continuerà, lo Stato dovrà far fronte a nuove sfide
Anche l’opposizione ha una parte di responsabilità. Nelle crisi di Stato, converrebbe che ogni partito mettesse a tacere le proprie teste calde. Trasformare la questione della Catalogna in destabilizzatore cavallo di battaglia contro il Governo, tirare fuori il linguaggio incendiario dei tempi delle raccolte firme e mettere in piedi una sfida tra PP e Ciudadanos a chi aizza più e meglio i cani contro il nazionalismo carpetano-vettone non può essere una buona idea per la Spagna. Sia chiaro, per favore, che l’unico “traditore della patria” di questa storia sta a Berlino.