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Originale: “Fábrica de naciones”.
2nd May 2018
Da strumento di comunicazione, la lingua diventa la chiave di un potere politico illegittimo.
In una conferenza tenuta anni fa, un arguto politologo catalano, oggi scomparso, voleva chiarire davanti al suo pubblico di Alicante cosa fosse la lingua nazionale. Esempio, l’uso diffuso del catalano, percepibile da qualsiasi visitatore di Barcellona. Il catalano era dunque la lingua nazionale. Dopo un po’ aggiunse: “I ara com estem a Alacant vaig a parlar en català” (“E adesso siccome siamo ad Alicante parlerò in catalano”). Vale a dire, non era importante che il catalano fosse minoritario ad Alicante: appartenendo ai Paesi Catalani, la priorità del catalano come lingua nazionale doveva essere garantita.
In questo senso, bisogna ammettere che esiste un rischio politico e culturale che non può essere ignorato di fronte alle strategie volte a invertire la situazione attuale in Spagna di pluralismo linguistico gerarchico. Durante la Transizione, il pretesto per la Catalogna era che la «normalizzazione linguistica», la preminenza della lingua chiamata propria, avrebbe agevolato l’integrazione democratica andando a compensare l’erosione subita sotto il franchismo. Oggi vediamo che così non è stato e che il risultato è consistito nell’accentuazione delle distanze culturali e politiche, spingendo allo scontro con la Spagna. Quando la pressione periferica sul tema si intensifica nella Comunità Valenciana, nelle Isole Baleari e persino nelle Asturie, è conveniente affrontare il tema, e non esattamente in bianco e nero.
Il primo mito da sfatare è che qualsiasi canalizzazione normativa di tale pressione presume un ritorno al franchismo. Piuttosto, si tratterebbe di un adeguamento al contesto europeo. L’esempio catalano dimostra che il rischio non risiede nella promozione e nella co-ufficializzazione di una lingua propria, ma nell’autorizzare l’avvio di un processo di derogazione normativa dello spagnolo. Titoli in due lingue, nessun problema; sanzionare coloro che non usano la cosiddetta lingua propria, o concederle la priorità assoluta, no. È il caso del catalano e dei medici nelle isole Baleari; come merito, bene; garanzia di monopolio per esclusione, inaccettabile. In un momento di difficile accesso al mercato del lavoro, tale esclusività serve solo a indebolire i diritti dei lavoratori tutti e a costituire una élite autoctona orientata per proprio interesse a consolidare un’identità politica esclusiva su tale privilegio.
Da strumento di comunicazione, la lingua diventa dunque la chiave di un potere politico illegittimo che mina il principio di uguaglianza tra i cittadini. In breve, costruisca pure chi vuole la sua nazione, ma come un processo endogeno, non in opposizione a uno Stato democratico, rispettoso del pluralismo. Sì alla pluri-nazionalità esistente, compresa la piena esporpolle (asturiano) delle proprie caratteristiche culturali; no a quella estesa fino alla disgregazione. Sarebbe necessario che il PSOE riflettesse su questo dopo l’enorme scivolone dell’Etatut e del suo attuale marasma, e che il PP e Ciudadanos percepissero che la via d’uscita non risiede in una nuova centralizzazione, ma nel federalismo.