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7 Maggio 2018
L ‘ex-president ha riconosciuto che ciò che lo attende nei prossimi anni è una prigione spagnola o vagare come latitante in Europa
Carles Puigdemont sa che non sarà mai più Presidente della Generalitat. Ha riconosciuto che ciò che lo attende nei prossimi anni è una prigione spagnola o vagare come latitante in Europa. A Oriol Junqueras non rimane nemmeno quell’alternativa: lui ha già scelto il suo destino quando si è rifiutato di fuggire.
Pur avendo tutto il movimento indipendentista a ripetere in coro lo slogan «Puigdemont o Puigdemont» sotto pena di lapidazione popolare, a mio parere l’ex presidente persegue tre obiettivi:
Il primo è, ovviamente, di sfuggire all’azione della Giustizia. E se lo può fare infliggendo un’umiliante sconfitta allo Stato spagnolo in Europa, tanto meglio. Per ora, è una battaglia che sta vincendo.
Il secondo è quello di stabilire il suo comando all’interno del movimento per l’indipendenza. Ha molta ragione Joan Tapia quando insiste sul fatto che non si può capire nulla di ciò che è accaduto in Catalogna negli ultimi anni senza mettere al centro dell’analisi la lotta fratricida per il potere tra Convergència ed Esquerra. Da quando Pujol è uscito di scena, questo è stato il nucleo di tutto. Ogni passo del processo indipendentista può essere interpretato dal punto di vista di questa lotta. E allo stesso modo tutto ciò che è successo dopo le elezioni del 21 dicembre. Vedere questo film soltanto come una sfida del blocco secessionista contro l’unità della Spagna è una visione monoculare. Non incerta, ma incompleta.
La novità è che tra i due vecchi rivali, sfiniti dal tanto farsi lo sgambetto, è emerso un terzo in ascesa: Puigdemont. È disposto a dislocare i due riferimenti storici del nazionalismo e a fare quello che fece Franco nel 1937 con la variegata accozzaglia del cosiddetto bando nazionale (falangisti, carlisti, tradizionalisti…) o quello che fece Peron, dal suo esilio di Madrid, con le molteplici fazioni del giustizialismo argentino: un solo movimento e un unico caudillo, dovunque esso sia. Uno guida e gli altri accompagnano.
Il terzo obiettivo è quello di ostacolare a tutti i costi il ritorno della Catalogna al quadro costituzionale. Con o senza l’indipendenza, la questione è che la Catalogna non torni mai più a essere una comunità autonoma dello Stato spagnolo, sottomessa allo stato di diritto. Il suo programma minimo è quello di fare diventare cronica l’eccezionalità, mantenere il conflitto aperto e puntellare l’anomia. Se non fuori dalla Spagna (al momento) perché non si può, neanche dentro. A questo risponde l’intera messa in scena del Consiglio della Repubblica in esilio, l’Assemblea dei Rappresentanti e tutto il resto: istituzioni parallele, al di fuori della legalità. Si cerca di sabotare la tregua che cercano da una parte il Governo e dall’altra le forze del movimento per l’indipendenza istituzionale (PDeCAT e ERC) per ripristinare una certa normalità. Almeno fino a quando arriverà, come dice Esquerra, «il prossimo attacco contro lo Stato».
È interessante che ora ERC presenti una relazione in cui è possibile leggere delle riflessioni giudiziose come queste:
«L’ottobre catalano non si è tradotto nella nascita della Repubblica catalana (…) Ottenere la maggioranza sociale di un paese significa molto più che avere una semplice maggioranza in una camera parlamentare (…) Il 50% è insufficiente quando si tratta della nascita della repubblica attraverso mezzi civili, pacifici e democratici (…) Creare la Repubblica catalana non è una decisione legislativa ordinaria (…) il processo verso l’indipendenza sarà chiaramente multilaterale, il dibattito sull’unilateralità è binario, sterile e controproducente (…) abbiamo bisogno di entrare in contatto con la diversità della società catalana di oggi (…) Tra i supporti assenti è particolarmente importante quello della classe operaia…».
Si cerca di sabotare la tregua che cercano il Governo e le forze dell’indipendentismo istituzionale per ripristinare una certa normalità
Se Oriol Junqueras e i suoi avessero osato a suo tempo dire ad alta voce cose simili a queste invece di agire come piromani politici, tutto sarebbe stato diverso. Probabilmente, lui stesso sarebbe oggi a casa sua e non in una cella.
Ma temo sia troppo tardi, perché ora Puigdemont ha il coltello dalla parte del manico e anche il manico. Mentre ERC stava filtrando la sua tardiva relazione, l’ex presidente riuniva i suoi deputati a Berlino, dopo aver inviato un ostentato non-invito ai suoi presunti alleati. Lì si è chiarito che:
-Se si elegge o meno un presidente, lo deciderà Puigdemont, e lo farà quando vorrà lui, presumibilmente, all’ultimo momento della proroga.
-Se sblocca la scelta, sarà il suo augusto dito a indicare il candidato, a cui detterà il suo programma, le sue competenze e anche gli uffici che può occupare. Il voto sarà una farsa (un’altra) e il sostituto non risponderà al Parlamento che lo ha eletto, ma davanti al caudillo che lo ha designato.
-Se ci saranno o meno elezioni anticipate, dipende unicamente della volontà sovrana del leader. Lui deciderà per tutti (non per tutti i suoi sostenitori, ma per tutti i catalani).
-Nel frattempo, il compito dei leader (?) del movimento per l’indipendenza è di omaggiare il grande timoniere, lodare il suo nome in lungo e in largo e attendere sottomessi il suo proposito provvidenziale.
Tutto questo, per cosa? C’è molta megalomania psicotica, ma anche calcolo politico. Qualsiasi osservatore attento percepisce facilmente i molti vantaggi che avrebbe Puigdemont se convocasse ora le elezioni. Ma potrebbe esserci un piano ancora migliore per i suoi propositi:
Supponiamo che all’ultimo momento accettasse che questo Parlamento scelga un presidente-burattino. Ciò consentirebbe di sbarazzarsi dell’articolo 155 della Costituzione, recuperare il controllo dell’apparato di potere e di cassa e, a quanto pare, dare soddisfazione ai suoi soci. Ma ciò non schiarisce l’orizzonte elettorale. Secondo lo Statuto (articolo 75), il Presidente della Generalitat può sciogliere il Parlamento solo dopo un anno dall’ultimo scioglimento. In questo caso, il burattino di Puigdemont potrebbe impegnarsi con il suo padrone a scioglierlo e convocare nuove elezioni appena possibile: cioè dal 27 ottobre.
Il burattino di Puigdemont potrebbe impegnarsi a sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni appena possibile: cioè dal 27 ottobre
18 ottobre: primo anniversario del glorioso Innalzamento Nazionale. Sarebbe in coincidenza con il macro-processo alla Corte Suprema a tutta la cupola indipendentista, il martirologio in tutte le sue espressioni. Con la stampa mondiale in attesa del processo di Las Salesas e le masse per le strade di Barcellona, sarebbe impossibile per ERC rifiutarsi di formare una comune candidatura pro-indipendenza guidata da Puigdemont, se non altro per impedire una nuova vittoria di Ciudadanos. Quelle elezioni non sarebbero più convocate da Rajoy, ma dal maggiordomo di Puigdemont nelle sue funzioni di presidente in carica. Sarebbe uno scenario insuperabile per ottenere una maggioranza indipendentista rafforzata che permetta di intensificare il martellamento continuo, che poi è quello cui tutto si riduce.
E tutto grazie all’immobilismo di Rajoy e alla frivolezza di un giudice tedesco che in un colpo solo ha distrutto lo spirito del mandato europeo e ha infuso nuova vita a un politico che due giorni prima sembrava finito. Che pasticcio.