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Originale: ‘Candidato de choque’. Editorial. El País.
12 Maggio 2018
Il profilo xenofobo di Torra gli impedisce di rappresentare i catalani
È difficile credere quanto in basso i leader indipendentisti siano disposti a fare cadere il governo autonomo catalano. L’elezione di Quim Torra i Pla come candidato alla presidenza della Generalitat conferma la natura più inquietante del suo progetto: la costruzione di una Catalogna indipendente in contrapposizione con la metà della Catalogna e con il resto dello Stato spagnolo e in sintonia con i movimenti ultranazionalisti e xenofobi europei. Anche il modo in cui il candidato è stato scelto, per designazione di Carles Puigdemont, conferma la deriva autoritaria e personalistica del secessionismo.
Le prime dichiarazioni di Torra già come candidato non lasciano dubbi. Ci sarà un posto per il Governo «in esilio», si lavorerà per rispondere al «mandato del 1 ottobre «, il che implica il recupero delle leggi di rottura approvate dal Parlamento e annullate dalla Corte Costituzionale, e si andrà verso uno «processo costituente». Sono parole più che inquietanti perché, a meno che rimangano nella mera retorica, implicano l’inizio di un nuovo processo unilaterale di indipendenza disposto a violare di nuovo la Costituzione e lo Statuto di autonomia e continuare a provocare lo scontro contro la volontà di oltre la metà dell’elettorato catalano.
Il profilo xenofobo di questo avvocato e saggista aggrava la crisi. Si è scusato per i suoi commenti dispregiativi e offensivi nei confronti degli spagnoli e li ha cancellati dal social network in cui li aveva pubblicati. Si è scusato dicendo che li aveva divulgati sei anni fa e che la cosa importante sono i fatti e non le parole. Scuse scarse e insufficienti di qualcuno che non ha chiarito se continua a pensare che l’unica cosa che sanno fare gli spagnoli sia rubare, come credeva allora. La sua ideologia indelebile si ricollega ai movimenti xenofobi dell’estrema destra europea. L’indipendentismo catalano, che ha iniziato il suo processo di rottura promettendo una nuova democrazia «sotto forma di repubblica» all’interno dell’Unione Europea, assomiglia più al nazionalismo etnico di Viktor Orbán in Ungheria che al repubblicanesimo europeo di Emmanuel Macron. Non è una sorpresa. Puigdemont ha stretto legami in Belgio, durante la sua latitanza, con i nazionalisti del partito flamenco dell’N-VA e i razzisti e neonazisti del Vlaams Belang.
Junts per Catalunya sta percorrendo un percorso di non facile ritorno che va dai centristi e dai liberali con cui Convergencia si era allineata in passato fino alle formazioni antieuropee dell’estrema destra. Nel caso catalano —un’altra caratteristica straordinaria— converge con la sinistra repubblicana di ERC, che emetteva segnali di distacco dall’indipendenza unilaterale e che tuttavia ha finito per arrendersi agli spropositi e ai dettami di Carles Puigdemont. Davvero Torra è il candidato di Junqueras e di ERC per governare la Catalogna? È la persona ideale per rappresentare la dignità del governo autonomo catalano e delle sue istituzioni davanti al resto della Spagna e dell’Europa? Può una persona con simili pregiudizi etnicistici e con così poco spirito democratico portare avanti un dialogo proficuo?
L’elezione di Torra è un pessimo segnale, soprattutto per i catalani, perché promette confronto e illegalità invece di politiche che risolvano i loro problemi reali.