In Italiano Voices From Spain

I sentimenti sono discutibili

Originale: “Los sentimientos son cuestionables”. Aurelio Arteta. El País

Non è vero che l’emozione nazionale sia indiscutibile. Se gli affetti politici fossero immuni alla critica, tutti avrebbero lo stesso valore. Per il nazionalista, l’unico obiettivo della politica è difendere i propri interessi e alzare muri contro gli altri.

Uno dei punti di consenso (o meglio, dei pregiudizi) più generali e indiscussi oggi fra di noi è che il mondo dei sentimenti occupa uno spazio intimo dell’individuo che nessuno deve calpestare e tutti devono rispettare. Si suppone, inoltre, che i sentimenti sono praticamente naturali e immuni alla ragione e alle sue argomentazioni. Trasferendo queste premesse al terreno politico, chissà si permetta controvoglia la possibilità di persuadere l’avversario con migliori ragionamenti, ma bisogna comunque fermarsi non appena si sfiorano le sue emozioni. È una soglia che non si deve superare, non sia mai che si feriscano i suoi sentimenti. Reggerebbero questi argomenti, per esempio, rispetto alla nostra risposta alla sfida dei nazionalisti catalani?

L’occasione ci viene data da alcune riflessioni recenti su questo conflitto che oggi ci preoccupa. Sostengono che la democrazia è un principio che può essere difeso razionalmente, ma la nazione no. La nazione si riferisce a qualcosa di affettivo, che ha le sue radici negli strati emozionali più profondi. “È quindi una questione di sentimenti. E i sentimenti possono essere solo rispettati, non discussi”. Permettetemi di non essere assolutamente d’accordo con questa tesi così contundente. Se non si devono discutere le emozioni nazionali di nessuno, tutte saranno ammissibili, e anche le più distanti fra di loro avranno lo stesso valore. Non c’è possibilità di discutere ciò che è appropriato e ciò che no di queste emozioni che ci mettono l’uno contro l’altro. Alla fine, imporranno le loro quelli che difendano le più radicate, ossia i più fanatici o i più grezzi. E la vigliaccheria, la pigrizia o l’incapacità critica di molti si nasconderanno dietro la maschera degna del rispetto.

Ma il fatto è che questi sentimenti non sono i dati finali e irrimediabili del problema. O, per caso, non bisognerebbe chiedersi da dove vengono questi affetti? Non sembra che si debba scartare che molti abbiano le loro radici in ostinazioni infondate e siano frutto di assurdità familiari o sociali trasmesse di generazione in generazione. Allo stesso tempo, sarebbe normale che queste convinzioni procedessero dall’imposizione o dal semplice contagio della maggioranza. O che incubassero in altri sentimenti, come il timore a essere condannati alla solitudine per osare contraddire i dogmi dominanti nel gruppo. O che si basassero su assunzioni infondate sulla loro nazione, o comunità etnica immaginaria, che abitualmente è molto diversa dalla reale. Arrivando alla Catalogna dei nostri giorni, su quante cose i catalani saranno stati ingannati dai loro governanti, impulsando così una arrogante coscienza nazionale? Quanto avranno influito i decenni di educazione scolare a carico di questo nazionalismo da manuale? Qualcuno crede che la barbarità morale dell’immersione linguistica non porta con sé la trasmissione di credenze nazionaliste considerate fuori da ogni dubbio?

Oltre a essere il risultato di variabili come queste, allo stesso tempo le emozioni sono cause e motore dell’azione privata e pubblica. I sentimenti generano convinzioni e desideri che, a loro volta, sono ordini per agire. Perché non potremmo (e dovremmo) giudicare la consistenza di queste intenzioni individuali e collettive, le misure pubbliche che ne derivano e i diritti sanciti? Sembra chiaro, dunque, che il valore di queste emozioni dovrà misurarsi dal grado di giustizia della causa politica che impulsano, dalla singolarità del momento e della circostanza alla quale si applichino.

Non è vero, quindi, che tutti i sentimenti siano legittimi e degni di rispetto, un parallelismo con la sciocchezza di difendere che tutte le opinioni siano rispettabili. È scoraggiante doverlo ripetere ancora. Il soggetto sarà sempre rispettabile, ma non così il sentimento; meglio ancora: spesso questo soggetto sarà degno di rispetto nonostante il suo particolare sentimento. Si ammetterà che non sono uguali l’amore o l’odio, l’ammirazione o l’invidia, la benevolenza o la sete di vendetta. E non è vero nemmeno che la ragione pratica debba astenersi dal mettere in dubbio la qualità degli affetti e, se è necessario, cercare di trasformarli o eliminarli. Non è forse vero che alcuni sentimenti portano a una determinata azione politica e altri alla contraria? È falso anche che la ragione nulla possa contro questi sentimenti, come se non ci fosse una connessione tra ciò che pensiamo e ciò che sentiamo, così come tra quello che sentiamo e quello che decidiamo di fare. O qualcuno crede che un cambiamento nelle convinzioni lascerebbe intatte le nostre emozioni? Riassumendo, siamo responsabili dei nostri sentimenti perché siamo responsabili di coltivare o rifiutare le idee che incoraggiano questi sentimenti e le loro conseguenze.

L’opinione sulla giustizia o ingiustizia del processo secessionista e la congruenza delle emozioni che lo accompagnano cambia dipendendo da ciò in cui crede il soggetto. A ogni convinzione corrisponde una certa idea della giustizia e determinati sentimenti nazionali. Come si può superare il relativismo davanti alle passioni e alle opinioni, se non proviamo a delucidare con argomenti ciò che hanno di fondato o infondato? Non è sufficiente che il soggetto senta che al suo Popolo hanno tolto il diritto a decidere, perché prima dobbiamo discutere se tale diritto esiste. Esattamente come prima non era sufficiente l’emozione che predicava qualche anno fa un vescovo basco – e nazionalista – ossia “la calda coscienza di appartenere a uno stesso popolo”. La verità è che, mentre continuiamo a coltivare differenti affetti e aspirazioni nazionali, non siamo un solo popolo, né sarebbe possibile che lo fossimo. Invece, formiamo una società culturale e politicamente plurale. E questa società solo può vivere in pace se instaura il pluralismo politico e la tolleranza verso le diverse ideologie –quelle tollerabili, è chiaro- dei suoi membri.

Visto dal punto di vista nazionalista, il sentimento di appartenenza alla propria nazione è la passione politica originaria e intoccabile. Se qualcuno non lo sapesse, il nazionalismo dichiara che la politica è soprattutto l’esaltazione della propria nazione e, concretamente, una lotta fra interessi, ideologie e passioni nazionaliste. Questo contraddice il significato stesso della democrazia? Questo lo dice lei, risponderà il fanatico, io esercito il mio diritto di sentire (e pensare) quello che voglio. Mica vorrà convincermi, no? Il peso della ragione non conta niente e la deliberazione razionale non può nulla contro la liberazione nazionale. “Il nazionalismo è la mancanza di dignità che significa avere un’anima controllata dalla geografia”, disse il filosofo Santayana. In poche parole, per il nazionalista la politica si riassume in difendere i propri interessi e alzare muri contro gli altri. Per una persona democratica, in cambio, ogni appartenenza individuale –sia a una etnia, una Chiesa o un partito- deve sottomettersi alla cittadinanza comune. E gli unici sentimenti politici universalmente rispettabili saranno quelli nati da questa coscienza che ci considera tutti soggetti con gli stessi diritti.

 

Back To Top