Foto: Aziz Acharki | Unsplash
Originale: ‘El «Juicio del pueblo»‘. Lola García. La Vanguardia.
6 di maggio 2018
Passati sei mesi dal convulso Ottobre del 2017, ERC (NdT: Esquerra Republicana, partito nazionalista e repubblicano catalano) ha scritto nero su bianco che “è perfettamente visibile” che quei fatti “non hanno provocato la nascita della Repubblica catalana”. Nonostante questa ammissione sembri ovvia, ha irritato i settori più infuocati dell’indipendentismo, con le conseguenti accuse di vigliaccheria e sottomissione. Quello che per alcuni significa essersi arresi, per altri, probabilmente, è solo riconoscere una realtà palese ed evidente. In ogni caso, la frase è il punto di partenza per riconoscere gli errori commessi e, quindi, per una timida rettificazione, senza che ciò significhi rinunciare ai postulati indipendentisti, che costituiscono in buona parte la ragion d’essere di ERC.
Effettivamente, la relazione politica che i repubblicani discuteranno fra qualche settimana difende che bisogna prepararsi per “il prossimo scontro con lo Stato”. Non concreta la forma né la data di questo futuro scontro, ma chiarisce che non vuole ripetere gli errori della storia recente. La diagnosi degli errori è chiara: nessuna nuova roadmap, né calendari che vincolino i dirigenti politici. La cosa più importante di tutta questa riflessione è che avverte che non si deve confondere di nuovo la maggioranza parlamentaria con la sociale e che nemmeno un 50% d’indipendentismo sarebbe sufficiente per ottenere la secessione pacificamente. “La volontà non è sufficiente”, avvisa. A continuazione, parla del piano per il futuro: in primo luogo, recuperare il potere per “rafforzare gli spazi di sovranità”, tra i quali cita la televisione pubblica, la scuola e l’iniziativa all’estero. Detto in altro modo, propone utilizzare il Govern (NdT: il Governo regionale catalano) per “fare repubblica”, per diffondere una narrazione, come a suo tempo fece Jordi Pujol, chi, di fatto, aumentò l’autonomia del Governo catalano “costruendo nazione”. Finalmente, la relazione conclude che l’indipendenza arriverà solamente con un referendum legale -anche se non lo dice con queste parole-. E questo referendum solo sarà possibile se si conta sulle “forze democratiche del resto dello Stato spagnolo, critiche con il regime del 78 e con settori europei sensibili alla democrazia e ai diritti umani”. ERC vuole pattare con i comuni e con Podemos.
Si tratta della prima riflessione in cui l’indipendentismo include una certa autocritica. ERC voleva farla circolare già dopo le elezioni del 21 di Dicembre, ma la strategia seguita da Carles Puigdemont lo ha reso difficile. Di fatto, i repubblicani corrono un rischio al diffondere il loro testo senza nemmeno sapere se ci saranno elezioni, perché questo potrebbe deludere un settore del suo elettorato che sta a favore dell’opzione epica del ex presidente Puigdemont. Ma la relazione di ERC è anche il riflesso della situazione differente che vivono i due leader che si disputano lo spazio dell’indipendentismo: Oriol Junqueras (NdT: leader di ERC) che sta in prigione, praticamente senza capacità di farsi sentire se non con qualche lettera; e Puigdemont, all’estero, con capacità di occupare costantemente lo spazio mediatico. Junqueras e il suo partito hanno bisogno di aprire una nuova tappa che collochi la rivendicazione indipendentista in un cammino pragmatico che, nel medio termine, permetta il dialogo con i poteri dello Stato. Al contrario, Puigdemont si mantiene ancora nello schema dello scontro e continua a sfruttare la “legittimità”, l’argomento che lo favorì nelle elezioni del 21 di Dicembre e grazie al quale pretende continuare a essere presidente della Generalitat a distanza.
Una parte del PdeCat (NdT: partito nazionalista catalano, il cui leader è Puigdemont) vorrebbe prendere un camino simile a quello di ERC. La relazione politica dei repubblicani rivendica anche il loro essere di sinistra e le alleanze con altre forze di quello spettro politico. Anche gli eredi di Convergencia (NdT: antico nome del PdeCat) volevano recuperare il loro profilo ideologico. Ma adesso il PdeCat è un partito diviso da un lotta interna di potere che è scoppiata con forza da quando Artur Mas ha lasciato la presidenza della formazione politica. Secondo gli statuti, nel periodo compreso tra il prossimo Luglio e l’estate del 2019, dovrà essere celebrata un’assemblea generale di carattere ideologico. Un settore del partito, però, vuole approfittare per lanciare un assalto alla leadership, allineandosi con l’ex presidente, soprattutto mentre una buona parte dei militanti continui a essere d’accordo con l’anacronistico assioma: “Puigdemont, o quello che decida Puigdemont”.
Consapevole del suo ascendente sull’indipendentismo, soprattutto mentre continuino le detenzioni e sia redditizia la denuncia della “repressione”, Puigdemont continuerà a impadronirsi della lotta contro lo Stato. Come? Per esempio, collocando un presidente marionetta prima del 22 di Maggio, con l’intenzione di fargli occupare il posto qualche mese -in questo caso non sarebbe necessario “bruciare” Elsa Artadi-, perché a partire dalla fine di Ottobre sarà possibile anticipare legalmente la chiamata alle urne. Giusto in quel periodo, si prevede che inizi il processo contro i membri del Govern, incluso Puigdemont, anche se fosse in contumacia, nel caso in cui la Germania non lo abbia estradato. La tentazione di trasformare le nuove elezioni nel “processo del popolo”, contrapposto a quello di un potere dello Stato, come la Corte Suprema, è quasi irresistibile per Puigdemont.
Ma questo sarebbe anticiparsi ai fatti. Il prossimo capitolo consiste in mettere di nuovo ERC, e il presidente del Parlament, Roger Torrent, nella situazione di disobbedire o no al Tribunale Costituzionale, cercando di farlo presidente prima del giorno 14 (NdT: 14 di Maggio). Questa telenovella, disgraziatamente per quelli che sono in prigione, sembra infinita.