Pubblicato originalmente in inglese: “Clara Ponsati is no freedom-fighting underdog”. The Scotsman
16 aprile 2018
Pur avendo vissuto in Gran Bretagna per oltre un decennio, ho una conoscenza limitata della storia di questo paese. Sì, ho visto film storici e serie TV e ho visitato luoghi emblematici, ma sono cose che difficilmente mi consentirebbero di parlare del contesto storico della situazione politica attuale. Naturalmente ho un’opinione, ma sarei screditato, a ragion veduta, se facessi dei parallelismi tra il movimento nazionalista in Scozia e il movimento separatista nella penisola di Crimea. Anzi, pur condividendo i nazionalisti scozzesi, baschi, catalani, fiamminghi o di qualsiasi altro luogo un obiettivo comune, questo non vuol dire che ci siano altre analogie. Mentre alcuni sono chiaramente xenofobi, razzisti e supremazisti, altri hanno un programma progressista e sono europeisti.
Posso capire che, se conosco solamente una versione in un conflitto, molto probabilmente accetterò come validi quegli argomenti. E ancora di più se questa versione proviene da una professoressa di una delle università più prestigiose del paese, che sembra la vittima innocente in quel conflitto. Tutti appoggiano il più debole. Se la stessa fonte fa entrare in scena un altro elemento, un dittatore la cui eredità si nota in ogni ambito della società (polizia, giustizia, istruzione, televisione), allora senza dubbio protesterei per le strade della mia università per appoggiare la professoressa. Questo è ciò che è successo con Clara Ponsatí, profuga della giustizia spagnola per aver preso parte al tentativo di secessione della Catalogna quando un membro del governo regionale e professoressa all’Università di St. Andrews.
In questa situazione hanno influito tre fattori.
Il primo è la tendenza naturale a confrontare situazioni con ciò che conosciamo. Se conosci, che tu li condivida o meno, gli argomenti dei nazionalisti scozzesi, sarai predisposto a supporre che in ogni altro luogo lo schema sarà simile.
Il secondo è l’incredibilmente ben finanziato (dai contribuenti) apparato della propaganda che trasmette il messaggio dei separatisti catalani. Secondo gli ultimi dati, il governo regionale catalano ha speso 2,6 milioni di euro l’anno per le sue ambasciate ufficiose; le organizzazioni locali separatiste, con le rispettive sedi all’estero, anche hanno ricevuto milioni di euro pagati dal contribuente. Sono sicuro che qualsiasi movimento nazionalista (ufficiale o con carattere locale) sarebbe felicissimo di usufruire di una parte di questo budget.
Il terzo fattore è l’intenzione dei sostenitori del Brexit di destabilizzare l’Unione Europea. Finché l’UE dovrà porre la sua attenzione da un’altra parte, e finché ci siano rischi di conflitto interno nel cuore dell’Europa, ci sarà meno capacità di mantenere un fronte unito nelle negoziazioni con il Regno Unito. I sostenitori del Brexit possono essere nazionalisti, ma non separatisti; l’appoggio agli indipendentisti catalani da parte della stampa pro-Brexit non ha nulla a che vedere con un appena scoperto appoggio al diritto di autodeterminazione, ma con l’interesse nella creazione di conflitto nella UE.
Con queste premesse, la domanda che mi rivolgono molto spesso è perché la Catalogna non ha diritto a un referendum sull’indipendenza. La mia risposta è che, secondo la Costituzione spagnola, votata dal 90 percento dei catalani nel 1978, la decisione sul futuro della Spagna (che include quella di questo territorio) spetta al popolo spagnolo. A differenza di altre costituzioni in Europa (come in Francia o in Germania, ad esempio), è perfettamente possibile sostenere e promuovere la separazione di una parte del paese in Parlamento. Non sarebbe facile, ma esistono meccanismi per raggiungere questo obiettivo.
Allo stato attuale delle cose, non c’è una maggioranza in Spagna (neppure tra i catalani) che vorrebbero un referendum sulla separazione della Catalogna dalla Spagna. Nelle elezioni regionali tenutesi a dicembre 2017 (con il precedente governo regionale fuggito o in carcere) hanno ottenuto la maggioranza dei voti i partiti costituzionalisti, anche se questa maggioranza non ha trovato riscontro nel numero di seggi nel parlamento autonomo per effetto della legislazione elettorale. Il referendum organizzato in Catalogna dal governo della signora Ponsatí il 1 di ottobre era illegale e si è svolto in violazione di varie decisioni della Corte Costituzionale. Il governo scozzese non avrebbe mai tenuto un simile referendum, contro la legge e incorrendo in un oltraggio alla corte.
La seconda domanda che mi pongono persone imparziali riguarda la forza che ha impiegato la polizia spagnola per evitare il referendum del 1 ottobre. Secondo quanto attestato dalle indagini giudiziarie, il governo della signora Ponsatí ha cercato attivamente e in vari modi gli scontri tra i votanti e la polizia: invitando la gente a votare pur trattandosi di un referendum illegale; intimando alla polizia regionale di disobbedire agli ordini del tribunale e di ostacolare e intralciare il lavoro della polizia nazionale (che agiva su richiesta dei giudici catalani); tutto ciò testimoniato da osservatori internazionali ”indipendenti” che hanno percepito, in alcuni casi, 200.000 euro. Il risultato: cariche della polizia, un numero considerevole di feriti (secondo dati ufficiali, quattro civili ricoverati e 431 agenti di polizia feriti) e un numero illimitato di menzioni sulla stampa internazionale. Anche il tribunale tedesco che sta studiando l’estradizione di Carles Puigdemont ha riconosciuto che il governo della signora Ponsatí ha usato la forza per rendere possibile questo referendum. Il risultato è stato precisamente quello che il governo della signora Ponsatí aveva previsto in un documento chiamato Enfocats.
Ho detto in apertura che la Catalogna vive sotto l’influenza di un dittatore la cui presenza si nota nella polizia, nella giustizia, nell’istruzione e nella televisione. Il governo regionale della Catalogna controlla sette canali televisivi che trasmettono solo in catalano; la sua stessa polizia regionale, con 17.000 agenti; un sistema educativo in cui lo spagnolo non è insegnato fino al quinto anno dell’istruzione primaria, e solo due ore a settimana. I nazionalisti governano la Catalogna dal 1980. I separatisti catalani non sono le vittime; le vittime sono i costituzionalisti.